Pubblichiamo integralmente le considerazioni di fine 2023 del vescovo di Como, il cardinale Oscar Cantoni, pronunciate in cattedrale durante la messa del 31 dicembre.
Il tempo scorre veloce e ci rendiamo conto che un altro anno è trascorso.
1. Non siamo persone superficiali che affrontano l’anno nuovo senza valutare come abbiamo vissuto il tempo e le situazioni che si sono succedute, mese per mese e giorno per giorno, lungo il 2023.
La nostra società, questa sera festeggia il nuovo anno con disinvoltura, perché fondata sui consumi e sulle emozioni, per lo più imbrigliata in una “ideologia del vuoto”, che genera, però, solo individualismo, ripiegamento narcisistico e disinteresse per gli altri. Come persone vigili e responsabili, al contrario, noi vogliamo uscire dal torpore della indifferenza, mentre sentiamo il dovere, come singoli e come comunità ecclesiale e civile, di ricordare l’anno trascorso, di interpretare gli avvenimenti e di condividere le nostre opportune considerazioni, in vista di un futuro più abitabile, più umano e fraterno. Esso è in parte nelle nostre mani, secondo le responsabilità di ciascuno.
2. Non siamo persone ingenue da non riconoscere e da non preoccuparci per la complessità degli avvenimenti che coinvolgono non solo i singoli, ma anche le intere comunità civili ed ecclesiali in tutto il mondo.
La terza guerra mondiale a pezzi, di cui papa Francesco ci aveva messo in guardia negli scorsi anni, si è drammaticamente ampliata, coinvolgendo ulteriori Popoli e Nazioni. Il fragore delle armi si è sviluppato a dismisura, mentre si fatica a trovare soluzioni per una pace giusta. Le Nazioni in guerra sono più preoccupate di vincere, piuttosto che di cercare la pace. Le guerre in corso, a partire dalla Ucraina e dalla Terra Santa, sarebbero ben 59, un numero che corrisponderebbe al livello più alto dal 1945. Sono distrutte vite innocenti, uccisi numerosi bambini, sradicate tante persone dalle loro case e dalle loro abitudini. La guerra genera ogni male e versa ovunque veleni di odio e di violenza.
I dissesti geologici, inoltre, hanno colpito varie regioni con danni alle persone e alla nostra madre Terra. Gli effetti della crisi ambientale, dei terremoti, sono paragonabili a quelli di un conflitto. Siamo in una crisi umanitaria di proporzioni enormi.
3. Non siamo, tuttavia, persone ingrate per non riconoscere la grazia del tempo che Dio ci ha donato.
Abbiamo il dovere di valutare come abbiamo saputo utilizzare le occasioni liete e tristi di questo anno che sta per concludersi, riconoscendo in entrambe la mano provvidente di Dio. Egli guida la storia e la conduce, mentre, nello stesso tempo, richiede dall’uomo scelte responsabili ed eque per il bene di tutti.
Siamo così tutti coinvolti in questo comune dramma segnato dalla violenza, dalle guerre, dai rischi epocali a causa dei cambiamenti climatici, dalle povertà, dalla sofferenza e dalla fame. Anche nella nostra Italia cresce il numero dei poveri e tra questi rientra il 21 % delle famiglie con tre o più figli minori.
Eppure, Dio Padre si fa presente in Gesù, suo figlio. Egli sceglie di nascere all’ interno degli spazi della nostra fragile umanità per portare a tutti l’amore del Padre, che non abbandona mai i suoi figli amati, anche quando essi vivono senza di lui, come se da soli avessero nelle mani il timone della storia. E ne sperimentiamo le tristi conseguenze!
4. Non siamo neppure persone che hanno perso la speranza. Nonostante la drammatica crisi di fede che caratterizza la nostra epoca, nonostante le fatiche del popolo cristiano a parlare, ad essere rilevanti, a interloquire nella nostra società, noi vogliamo aggrapparci al Dio della vita che guida e illumina i passi dei suoi figli. Non vogliamo appiattirci in un pessimismo sterile, nella mediocrità, nella disperazione, ma affrontare la situazione con realismo e responsabilità.
Ci facciamo carico della storia, vivendo le dinamiche del mondo, cercando di illuminarle con la luce del vangelo. Vogliamo innanzitutto ritrovare il coraggio di guardare in alto, di ricentrare il nostro sguardo su Dio, di ripartire da Dio, lasciandoci rischiarare dalla sua Parola, per essere una Chiesa che ha Dio al centro, che cerca di essere più unita e più fraterna, senza dividersi all’interno e non aspra all’esterno, soprattutto con quanti si sentono feriti, e perciò guarda con misericordia tutta l’umanità. Ritroviamo l’impegno per la vita, affrontando le nuove sfide con fermezza e rinnovata speranza.
Da qui la vicinanza pacifica della Chiesa e delle nostre comunità a tutti coloro che sono nella sofferenza e nel bisogno, mediante i numerosi interventi di solidarietà, di aiuti umanitari, con l’aiuto di operatori che alleviano le ferite dei più bisognosi e li aiutano a guardare con speranza il futuro.
Continuiamo ad avanzare, nel buio della notte, nella salda fiducia in Dio.
Abbiamo in cuore tante domande, ancora insolute, come questa: “perché, Signore, permetti tante crudeltà ai diversi Erodi di questi nostri tempi? Perché non ascolti il pianto disperato di tante persone che soffrono?
Anche per noi, come un tempo per Maria e Giuseppe di Nazareth, non tutto è stato chiaro immediatamente. Essi, tuttavia, hanno proseguito nel cammino della fede impegnandosi nel lavoro, nella preghiera, in un prolungato silenzio di meditazione. In attesa di riposte che nel tempo Dio ha loro offerto. Hanno meditato, si sono fidati, si sono affidati.
Facciamo così anche noi, sostenuti dal loro forte e umile esempio.
Oscar card. CANTONI
Un commento
Una spiegazione su quali possano essere le cause alla radice delle mondanizzazioni che in modo ricorrente investono il corpo ecclesiale, degradandolo, è l’accoglienza, da parte della Chiesa istituzione, di principi e regole del mondo, nell’illusione che essi possano integrarsi col Vangelo predicato da Gesù.
La Chiesa è, per esempio, senz’altro gerarchica nelle funzioni, nel senso che c’è chi ne ha di superiori e di più generali, e chi non ne è invece rivestito. Un vescovo, in altre parole, non è un parroco, come un semplice fedele non è affatto una persona ordinata. La Chiesa non ha avuto però alcun riguardo ad importare, dal mondo, quasi di peso, il modello piramidale del potere. Che c’entra questo col Vangelo? Direi, molto poco.
Gesù infatti dice: “Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti.” (Marco 10, 42-44). Ed ancora: “Ma voi non fatevi chiamare «rabbì», perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli.” (Matteo 23,8).
Gesù, così dicendo, non mi pare che si limiti ad apportare solo un correttivo al potere, cercando di elevarlo e sublimarlo nel servizio; propone invece autorevolmente molto di più: un nuovo modello di relazione tra le funzioni di autorità e lo spirito di servizio nella carità, volendo evitare, grazie ai vincoli insiti in una struttura differente, che, al di là delle dichiarazioni, il servire non retroceda poi, in concreto, in forme di dominio e prevaricazione. Propone cioè che le funzioni ecclesiali di grado diverso si articolino secondo un modello circolare: nell’unico centro il Papa, sulle linee dei raggi i Vescovi, ed il resto dei fedeli, ordinati o no, disposti sulle circonferenze concentriche. Chi sta sopra? Solo Gesù Cristo, il Maestro, a cui tutti guardano. Chi sta sui raggi che legano al centro? I Vescovi. Chi al centro per volere del Figlio di Dio? Il Papa. È questo il modello che scaturisce dal Vangelo. Intestardirsi a mettere il vino nuovo evangelico negli otri sclerotizzati dei criteri mondani, è un compito, come ammonisce la parabola, destinato a restare infruttuoso.
La sinodalità, di cui ora tanto si parla, mi sembra soprattutto questo: un dinamismo relazionale che, nell’indispensabile rispetto della funzione vitale dei diversi ruoli, si muove per schiacciare verso il basso il vertice della piramide, volendo raggiungere, pur nella gradualità, un nuovo modello di vita, di cammino e di confronto ecclesiale. Non più quindi un sopra e un sotto, ma credenti accanto, sull’unico piano della carità che tutti trascende e tutti ci affratella.