Si è chiuso ieri con la sentenza di secondo grado del tribunale civile di Milano un braccio di ferro durato anni.
La vicenda paratie ha segnato (e segna) a molti livelli, tutti drammaticamente negativi, la storia di questa città.
Mentre il cantiere non è ancora partito e mentre si attende il secondo grado di giudizio nel processo che ha visto coinvolti, tra gli altri, gli ex sindaci Lucini e Bruni ecco arrivare la sentenza sulla richiesta danni avanzata dall’amministrazione nei confronti dei progettisti gli ingegneri Carlo Terragni e Ugo Majone (scomparso il mese scorso a causa del Covid) e l’architetto Renato Conti.
L’amministrazione, che già aveva perso in primo grado nel settembre 2018, chiedeva ai tre un risarcimento per il progetto realizzato a fine anni 90 e poi radicalmente cambiato dopo la presa in carico da parte di Sacaim, azienda che vinse l’appalto per la realizzazione e oggi non più titolare del cantiere (la nuova gara è in mano a Regione).
Cifra record: oltre cinque milioni di euro.
Richiesta respinta e nulla di fatto. “Il tribunale – spiega Oliviero Mazzone legale rappresentante dei tre – dice che il Comune non ha provato i fatti e non ha presentato il progetto nei termini previsti dalla legge per provare le proprie ragioni, ha provato a farlo dopo ma non poteva” (vicenda peraltro denunciata politicamente e con dovizia di particolari in Consiglio comunale dal consigliere Ada Mantovani).
In sostanza “i danni di cui l’amministrazione chiedeva i danni non sono collegati a errori progettuali – spiega l’avvocato – le tre perizie di variante successive al lavoro originale non hanno emendato il progetto da errori ma sono state una rivisitazione soprattutto orientata a evitare contestazioni soprattutto sulla questione muro”. Già, quel muro che portò, un po’ prima del turismo, Como al centro delle cronache (e degli sberleffi) di mezzo mondo.
“Il muro – precisa Mazzone – fu eseguito in difformità sulla base di una sorta di perizia-zero che il Comune chiese ai progettisti. Loro, poiché incaricati dovettero elaborarla ma subito precisarono di non essere d’accordo giacché peggiorava tecnicamente e paesaggisticamente il lavoro. E infatti alla fine il muro venne abbattuto”.
Il problema è che “il Comune di Como – evidenzia il legale – in quegli anni lavorò dichiaramene in economia, e chiese continue modifiche al risparmio, la più nota è la famosa scultura di Somaini ma si arrivò a tagliare illuminazione e scalette nelle vasche di laminazione. Si consideri anche che pur di ridurre i costi l’amministrazione tolse la direzione lavori ai miei assistiti, cosa che è naturale prosecuzione della parte progettuale, e lo scrisse chiaramente su una delibera: per ridurre le uscite”.
Viene inoltre citata, nella sentenza, anche la celeberrima analisi dell’Anac:
Insomma, tutti i motivi dell’appello sono stati rigettati. Dunque, sentenziano i giudici, non vi è nesso causale tra i presunti danni subiti dal cantiere (e quindi dal Comune) e il lavoro di Terragni, Majone e Conti.
Il Comune ora deve risarcire le spese legali: 45mila euro pubblici. In teoria potrebbe ricorrere in Cassazione ma pesa la nota questione della doppia-conforme (stessa sentenza nei due gradi di merito. Così l’eventualità si fa più complessa per quanto non impossibile.
“Ai miei clienti premeva la riabilitazione morale e professionale. Ora possono tornare a passeggiare indisturbati” conclude Mazzone.
Purtroppo non lo farà Ugo Majone che (lo abbiamo incontrato molte volte negli anni) come i colleghi attendeva questo risultato da molti anni.
Qui un estratto della decisione dei giudici:
Un commento
Ormai il numero di cause che il Comune di Como perde regolarmente da anni non fa più notizia, potrebbe invece farlo l’ammontare dei premi di produzione che quei dirigenti solerti continuano ad auto assegnarsi…..