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Don Giusto: “I social network? Isolano e indeboliscono le persone dando l’impressione di unire”

“Vorrei capire quale sia la missione educativa del sindaco Rapinese e del Comune di Como verso i minori non accompagnati”. Don Giusto Della Valle, parroco di Rebbio non è certo uno che si tira indietro quando si tratta di parlare di fragilità. Senza pregiudizi e spirito polemico è intervenuto alla serata organizzata dal Lions Club Como Host del presidente Mario Gorla al Collegio Gallio di Como. “Le criticità giovanili” il titolo del convegno, che ha portato al centro della discussione il disagio dei ragazzi, da diversi punti di vista.

“Abbiamo organizzato questa serata perché ci sono due modi per affrontare i problemi: nascondere la polvere sotto il tappeto o provare a risolverli” ha spiegato Mario Gorla, introdotto dal cerimoniere Walter Gatti e dalla pediatra Francesca Simone, moderatrice della serata. Poi, dopo l’interessante relazione del dottor Andrea Caldarini, direttore dell’Azienda sociale Medio Alto lago e vicepreside, e le parole di Padre Giovanni Benaglia, rettore del Gallio, ha preso la parola don Giusto.

“Non amo i social network – ha esordito il parroco di Rebbio – perché non hanno nulla di social, in realtà sono un mezzo per isolare e indebolire le persone dando loro l’impressione di essere uniti. Oggi si fa fatica a fare le cose insieme, faticano i partiti, i sindacati. Sono stati cancellati i consigli di quartiere, per ora resistono solo le associazioni che riescono a fare rete”. Una rete che ha permesso di accogliere anche gli ultimi giovanissimi migranti arrivati a Como, ragazzi che don Giusto conosce bene e ha ben descritto.

“Non conosco tutte le loro storie, perché tra noi esiste una barriera linguistica. Tutti hanno frequentato soltanto la scuola coranica, non conoscono una parola di inglese – ha detto don Giusto – I minori non accompagnati che arrivano a Como oggi sono in generale egiziani e tunisini. Una migrazione economica, sono mandati dalle famiglie che hanno fatto un debito per farli viaggiare fino in Italia. Ci sono anche afgani e siriani, ma sono solo di passaggio, in pochi giorni passano il confine per la Germania. Gli egiziani sono i più determinati, per arrivare qui sono passati dai campi della Libia, appena possono, a 18 anni” cercano un lavoro, spesso come lavapiatti in uno dei tanti ristoranti sul lago, mille euro al mese, ne mandano 150 a casa per ripagare gli sforzi familiari. I tunisini invece hanno fatto un viaggio meno drammatico, ma sono anche quelli meno convinti di come affrontare il futuro.

“Lo slogan di un partito diceva ‘aiutiamoli a casa loro’ – ricorda don Giusto – ma forse si dovrebbe capire che i maggiori finanziamenti di questi Paesi sono le rimesse dei migranti. Purtroppo questi ragazzi non sono interessati alla formazione professionale. Sono privi del gusto della conoscenza e del sapere, ma questo è anche colpa di chi accoglie”. Il parroco evidenzia infatti come nello stesso progetto di accoglienza manchi del tutto la parte educativa. “Si assiste, si colloca, ma non si educa. Il Comune di Como non verifica e forse non ha neppure un progetto educativo per questi ragazzi. In tutta Italia la proposta educativa per i giovani migranti è squallida. Sì, ce ne occupiamo, ma non ci interessa” ha detto ancora don Giusto.

Dopo don Giusto ha preso parola Giuseppe De Angelis, ex questore di Como, che ha affrontato la problematica dei giovani e dei minori non accompagnati da un punto di vista ancora differente. Dalla piaga delle baby gang (italiani e stranieri insieme) ai contributi dati ai Comuni per ogni minore accolto. “Si è passati con un colpo di spugna dal rimborso delle spese sostenute, a un contributo, perché le cifre in gioco non sono sufficienti – ha spiegato De Angelis – le amministrazioni sanno che dovranno recuperare questi fondi tagliando altri servizi. Questo incide sul welfare”. I minori non accompagnati accolti oggi in Italia sono circa 25mila, un quinto dei quali proviene dall’Ucraina. Illuminante anche la riflessione di Caldarini sui giovani, lasciati soli di fronte alle criticità e al fattore tempo in un eterno presente. “Siamo in un mondo dominato dalla cultura della velocità e del consumo rapido, ma anche della precarietà. Gli adolescenti non vedono all’orizzonte mete raggiungibili, coltivare ideali o battaglie sociali per i ragazzi sembra inutile e frustrante rispetto a provare a soddisfare immediatamente i pensieri. In questa atmosfera i giovani mostrano segnali di disagio, disadattamento e devianza” ha spiegato il direttore dell’Azienda sociale Medio Alto lago.

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