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Eleonora, caposala della Rianimazione al Sant’Anna: “La lotta al Covid, il senso del dovere, la famiglia lontana”

Terapia intensiva. Quante volte sentiamo in una giornata queste due parole. Prima, e ovviamente si intende prima della pandemia, erano appannaggio degli addetti ai lavori e degli appassionati di Grey’s Anatomy.

E’ invece un luogo che Eleonora Tricarico, 32 anni, conosce molto bene. E’ il suo mondo, dove è cresciuta professionalmente e che oggi coordina con orgoglio con il collega Roberto Rossi. Eleonora infatti è l’infermiera caposala della Rianimazione dell’ospedale Sant’Anna di San Fermo della Battaglia: lei e i suoi colleghi dalla scorsa primavera stanno letteralmente lavorando e vivendo nell’occhio del ciclone chiamato Covid-19.

“La situazione è imprevedibile, tutto il flusso è dettato dagli eventi – spiega Eleonora – In reparto c’è maggiore consapevolezza del problema rispetto alla primavera ma l’entità è la stessa. Abbiamo le idee più chiare su cosa fare ma ciò che ci troviamo di fronte è la stessa situazione della prima ondata”.

Il suo lavoro, al di là della cura del paziente, è il buon funzionamento del reparto. “All’inizio del mio turno devo essere certa che ci sia tutto quello che ci può servire – spiega la caposala – dai farmaci, che ci servono in grandi quantità, al personale ovviamente da sostituire in caso di assenze. Ogni giorno dobbiamo reinventarci in relazione ai bisogni di quel momento”.

Quindi aggiunge: “Il reparto di Terapia Intensiva non è mai stato per sua natura programmabile però prima era molto più prevedibile di oggi in base alle condizioni dei pazienti che avevamo ricoverati – racconta la caposala – Adesso i ritmi sono notevolmente cambiati e soffriamo un po’ il peso dei dispositivi di sicurezza da indossare ma soprattutto quello psicologico di questa situazione”.

“La paura di ammalarsi ovviamente c’è ma non ci ferma – prosegue – Quello che sicuramente è strano per il nostro reparto è avere ad esempio 15 pazienti ricoverati tutti con la stessa patologia, il Covid appunto; noi invece eravamo abituati ad avere casistiche diverse perché in Rianimazione arriva chi è grave per diverse ragioni”.

Eleonora è da otto anni all’ospedale Sant’Anna; si è laureata all’Università di Bari, poi ha lavorato per qualche tempo al Niguarda di Milano e infine ha vinto un concorso per Como.

“Ho sempre lavorato in Terapia Intensiva così ad un certo punto ho fatto un master in coordinamento – racconta la caposala – Ho origini pugliesi e qui a Como vivo da sola, tutta la mia famiglia è in Puglia. Perciò mi viene molto difficile staccare dal lavoro. Personalmente ho un grande senso del dovere e negli ultimi mesi tutto il resto è passato in secondo piano. Soprattutto perché, al di là dell’aspetto sanitario, i parenti dei nostri ricoverati sono a casa impossibilitati a vedere i loro cari, quindi è nostro dovere rispondere anche alle loro esigenze: noi e i medici siamo il loro canale per ricevere informazioni. Altrimenti loro a casa senza notizie pensano al peggio”.

E la sua famiglia? E’ riuscita a vederla in tutto questo trambusto? “So già che sarà molto difficile riuscire a vederla per Natale – ci confida – Così ho chiesto un weekend di permesso a fine ottobre perché era il compleanno della mia mamma e ci tenevo a farle gli auguri di persona”.

Perché il timore, anche per i propri cari, c’è. “Assolutamente, ogni giorno mi accompagna il pensiero della lontananza – racconta Eleonora – Si pensa a quello che potrebbe succedere, anche in Puglia i dati non sono confortanti. Ma non bisogna lasciarsi sopraffare bensì pensare positivo”.

Eleonora conclude con un ringraziamento e un appello: “Il reparto funziona grazie al lavoro di gruppo di tutto il personale e in particolare degli infermieri esperti che trascinano tutti, sono la nostra forza. Noi non possiamo fare altro che il nostro lavoro, non abbiamo scelta. Fuori dall’ospedale invece la responsabilità del singolo è fondamentale: se tutti rispettassimo le regole che ci sono state date sarebbe il più grande aiuto che la comunità potrebbe ricevere”.

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