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Addio Emilio Russo, tra garofani rossi. L’amore luminoso di due figli, Paolo e Claudio: “Uomo curioso, mai sazio. Ci ha cresciuti liberi”

Sono parole imbevute d’amore, di bellezza luminosa e straziante. Le ha pronunciate oggi, anche a nome del fratello Claudio, Paolo Emilio, figlio di Emilio Russo, durante i funerali a Ronago.

Emilio se ne è andato pochi giorni fa. Che ci manca molto lo abbiamo scritto, lo scriviamo ancora.

Ecco le parole di Paolo:

Pensare di ridurre la storia terrena di Emilio, di mio padre, in un ricordo di pochi minuti è un’impresa impossibile.

Nemmeno lui, che con la penna e con le parole era più bravo di tutti, sarebbe mai riuscito a farlo. Non sono bastati una dozzina di volumi, decine di racconti e due romanzi.

L’ultimo, ambientato proprio su questa piazza, si conclude con la notizia di una nascita.

Leggo: “La moglie del sarto cantava sempre, era il suo modo di esprimere la gioia. Le donne che attraversavano il cortile ascoltavano e non sapevano che dentro le stava sbocciando una nuova vita”.

Quella vita sbocciata a cento metri da qui, sotto l’Ambrosoli, era la sua.

Il figlio della sarta di Ronago è diventato un uomo dalla cultura rara, una conoscenza che non ha mai smesso di alimentare fino ad un secondo prima di partire per quella dannata passeggiata.

Emilio è stato un uomo curioso, mai sazio. Curioso della vita, curioso della storia, ma, soprattutto, curioso di capire le persone, anche quelle più diverse da lui.

Ha saputo unire l’alto e il basso, i concerti degli Oasis con Claudio e Immanuel Kant, l’Inter e le encicliche, perché papà è stato un uomo ironico, che ha affrontato tutti i passaggi della sua vita – facili o meno che fossero – senza prendersi mai troppo sul serio.

Nessuna delle tante persone che sono venute qui oggi a dargli l’ultimo saluto – che ringrazio anche a nome di mia madre Teresa, di Alessia e Giulia, di Maurizio – che non ne ricordi una battuta salace o un sorriso sornione tra una boccata di pipa e l’altra.

Emilio si è scelto una missione e l’ha portata avanti fino a sabato scorso, quando ha esaminato i suoi ultimi studenti.

Cercando di ritrovarlo tra gli ultimi appunti che aveva preso – rigorosamente a penna – ho potuto leggere queste frasi:
“Educare è proseguire l’atto generativo”.

E ancora:
“I giovani sono tutti figli, tutti richiedono la nostra cura”.

Ecco perché oltre a me e a mio fratello Claudio che gli siamo figli naturali, è come se avesse avuto, in 50 anni di insegnamento, migliaia di figli.

Sono i suoi studenti alle scuole elementari o nei licei, – ne vedo tanti qui oggi – ma anche i bambini piccoli di famiglie disagiate che aiutava a fare i compiti – senza dire niente a nessuno – in oratorio o invitandoli in casa d’estate.

Nell’ultima videolezione che ha registrato su YouTube ha detto ai ragazzi: “È arrivato il momento di dirvi che vi voglio bene, specialmente alle pecorelle smarrite“.

Non li considerava bambini sfortunati, ma, al contrario, insegnava al figlio del vedovo alcolizzato o all’ultimo di quattro figli di una ragazza madre immigrata a non accontentarsi del futuro che era stato prospettato loro, ma a coltivare ambizioni.

Questo spirito di servizio nei confronti del prossimo e questi principi di uguaglianza e di rispetto hanno contraddistinto anche il suo lungo impegno politico.

Papà non ha collezionato poltrone, ma combattuto battaglie che riteneva giuste anche quando sapeva che le avrebbe perse.

Non è mai stato settario, non è mai sceso a compromessi e non ha mai rinunciato per una promessa o per un posto sicuro ai principi nei quali ha creduto per mezzo secolo.

Ci ha sempre lasciati liberi di pensarla a modo nostro. È per questo, forse, che oggi gli rendono omaggio molti amici, conoscenti, personalità e figure istituzionali che la pensavano anche in maniera diversa da lui.

Ha animato con i compagni di una vita una comunità politica che è diventata una seconda famiglia, che era governata non da Statuti o da regolamenti di partito, ma dall’amicizia, dal rispetto, dalle serate a fumare tabacco sfidandosi a Ciapano’.

Una comunità di persone per bene, che papà scherzando chiamava “rivoluzionari di professione”, che non si è chiusa in se’ stessa, ma ha saputo coinvolgere ragazzi e ragazze, farsi ancora una volta scuola.

Sono innanzitutto per loro i garofani rossi che abbiamo scelto per colorare questo momento così triste.

I dibattiti e le discussioni che hanno scandito la sua vita non sono certo finite qui: già immagino papà ridere e fare a gara di citazioni latine, nascosti dentro a una nuvola di fumo, con Gianfranco Garganigo, che lo ha preceduto dove è ora, prendendo la via del cielo da quella stessa riva del lago.

Sono sicuro, come tutti quelli che l’hanno incontrato nelle ultime settimane, che se n’è andato felice.

La sua assenza, oggi, ci spezza il cuore. Quella di un signore di 70 anni che sapeva farsi così piccolo fino a diventare il migliore amico di una bambina di 22 mesi, la sua prima nipote. Emilia, che ha così tanto amato seppur per così poco tempo, ci è forse stata mandata per chiudere il cerchio della vita, di una vita che avremmo voluto più lunga.

Non è la fine dunque, ma è un nuovo inizio.

Siamo memoria collettiva di una bella storia che continua altrove, in un luogo che papà studiava ogni sera leggendo la Bibbia.

E’ una storia che prosegue anche qui attraverso di noi e di chi verrà, un giorno, ancora dopo di noi.

A rivederci Emilio, ciao papà.

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