Cosa unisce dieci ragazzine che fanno merenda tutte insieme in una stanza dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e un gruppo di donne (e qualche uomo) che cucinano in compagnia piatti che non credevano neppure di riuscire a immaginare? Semplice: soffrono tutte di disturbi del comportamento alimentare. E oggi, Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla dedicata ai disturbi del comportamento alimentare, vogliamo raccontarvi questa magia attraverso le parole di quella piccola e tenacissima guerriera che è Greta Gorla di cui, in passato, abbiamo già racconto la lotta contro una malattia genetica rara, la Poliposi Adenomatosa Familiare (FAP), poi degenerata in tumore, le tante operazioni subite ma anche i gesti generosi, come i regali di Natale raccolti per i bambini ricoverati in Oncologia Pediatrica.
“Ho iniziato a soffrire di anoressia nervosa nel 2019 e solo grazie al sostegno di mio papà ero riuscita a mantenere un peso intorno ai 50 chili ma, quando a gennaio dell’anno scorso è morto all’improvviso, sono crollata – racconta – sono arrivata addirittura a dividere una mela in quattro spicchi mangiandone uno al giorno, senza toccar altro cibo, finché a gennaio il mio corpo ha ceduto e ho avuto un ictus”. Un blackout che è stato la sua salvezza, come racconta in una lunga lettera che ci ha inviato (che potete trovare in fondo all’articolo): “Ero arrivata a pesare 37 chili, ero pelle e ossa e un medico, vedendomi sulla barella in quelle condizioni mi ha chiesto se sapevo cosa stavo rischiando – spiega Greta – ed è stato come se finalmente si accendesse una luce”. Da lì, grazie all’appoggio del suo oncologo, il professor Marco Vitellaro dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, Greta ha iniziato a riprendere in mano la sua vita e l’ha fatto nel modo in cui solo lei è capace di fare: trasformando il dolore in un dono per gli altri. “Mi ha affidata a una psicologa e a una nutrizionista e sono entrata in contatto con l’associazione Animenta di Milano – ricorda – lì mi sono sentita per la prima volta a casa perché ho trovato persone come me, con i miei stessi problemi e le mie stesse paure, così ho iniziato a partecipare ai loro incontri”. Incontri che, inaspettatamente e meravigliosamente, sono specialissimi corsi di cucina in cui “fare la pace” con il cibo esorcizzando la paura nel modo più semplice del mondo: cucinandolo insieme.
“Una volta individuati i cibi di cui si ha più timore, un cuoco li cucina inizialmente per te e poi, pian piano, cominci a farlo tu in prima persona per poi mangiarli insieme – racconta Greta – così, anche grazie alla persona che mi sta accanto e che cucina per ogni giorno, mi sono riavvicinata alla pasta e oggi sono arrivata a pesare 41 chili avvicinandomi sempre di più ai 45, la soglia minima che mi hanno imposto i medici per poter affrontare un nuovo intervento chirurgico”. Ma c’è di più. “Da qualche tempo seguo in prima persona un gruppo di dieci ragazzine dai 10 ai 17 anni in cura all’Istituto dei Tumori che soffrono di disturbi alimentari – spiega – per tutte loro non mangiare è una scelta consapevole, perché, dopo aver affrontato un tumore, di fronte alla prospettiva di chemio e radioterapia preferiscono smettere di vivere, semplicemente”.
E invece, per tentare di esorcizzare la paura ecco Greta con le crostate, i succhi di frutta e per un attimo si smette di essere pazienti per tornare per semplici ragazzine: “Pian piano riusciamo a fare merenda e capita che la sera qualcuna di loro mi scriva che è anche riuscita a cenare e per me è un grandissimo successo”, dice. Il percorso per uscire dai disturbi alimentari, però, è sì cura, idee sorprendenti e vicinanza ma, soprattutto, è professionalità e fiducia nei medici, come ci tiene fortemente a sottolineare Greta: “Mi spaventano le ragazzine che pubblicano video su TikTok raccontando il loro percorso da un letto di ospedale perché ho paura che chi le guarda pensi di poter trovare le soluzioni guardando quello che fanno gli altri – spiega infatti – il mio consiglio è quello di non sottovalutare i rischi e affidarsi subito a professionisti, perché solo così si può guarire”.
Anoressia e bulimia sono la principale causa di morte tra i 12 e i 25 anni in Italia e nel nostro Paese sono circa 3 milioni i giovani che ne soffrono mentre solo il 10% ha la forza di chiedere aiuto. Se pensi di soffrire di disturbi alimentari o hai accanto qualcuno che ne soffre puoi rivolgerti al centro dedicato alla cura dei Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione (l’elenco dei centri è consultabile QUI) oppure contatta l’associazione Animenta
Qui di seguito la lettera di Greta Gorla inviata alla nostra redazione:
Ricordi poco nitidi si fanno spazio nella mia mente, parecchie incertezze e tanti vuoti incolmabili.
Vorrei ricordare qualcosa in più, ma purtroppo le mie condizioni erano talmente tanto gravi che in quel periodo a stento ricordavo il mio nome.
Se guardo indietro nel passato riesco a scorgere solamente una ragazza trentenne intrappolata nel corpo di una bambina, con il viso scavato e gli occhi fuori dalle orbite, la pelle pallida e ghiacciata, le ossa sporgenti e doloranti, talmente fragili che sembrava potessero spezzarsi da un momento all’altro.
E infine il ricordo di un cuore debole, dai batti troppo lenti ed irregolari, un cuore chiedeva pietà e pareva essere vicino alla fine del suo processo ritmico.
Vedo una ragazza che non stava ferma neanche per un miliardesimo di secondo, troppo spaventata dall’idea di potersi fermare e forse, troppo spaventa dall’idea che, se si fosse fermata, le sue più grandi fobie avrebbero finito col raggiungerla, portando così la sua mente in uno stato di disperazione tale da vedere nella morte l’unica soluzione.
Sono Greta ho 32 anni e sto soffrendo di un grave disturbo alimentare: l’anoressia nervosa.
La mia storia ha inizio nel gennaio 2022 uno dei periodi più critici della mia vita.
Stavo perdendo tutte le persone che più amavo e ogni giorno una parte di me si dissolveva con loro.
Ogni cosa sembrava essere sbagliata, ogni pezzo della mia vita sembrava non essere compatibile con quella degli altri, non avevo più un punto fisso al quale aggrapparmi e ad ogni cosa che facevo i sensi di colpa iniziavano ad emergere fino a quando la mia vita non divenne del tutto un grandissimo senso di colpa.
Avevamo già parecchi problemi in famiglia e io sentivo di essere soltanto un peso maggiore per tutti.
Soffrivo, ma non volevo dimostrarlo, perché il solo pensiero di far stare male gli altri a causa mia, mi faceva sentire egoista ed aumentava solamente il mio stato di malessere interiore.
Feci così una scelta: decisi che era arrivato il momento di soffrire in silenzio.
Caddi in un baratro che pareva senza fine e persi totalmente il controllo della situazione ritrovandomi così in un nuovo periodo della mia vita: il periodo dell’autodistruzione.
Non avevo scampo, stavo raggiungendo finalmente il mio obiettivo, stavo finalmente raggiungendo le persone che mi avevano lasciata e soprattutto stavo perdendo la voglia di combattere. Mi stavo abbandonando al nulla.
Che senso aveva combattere una guerra dove la protagonista ero io ambo i lati? Che senso aveva combattere una guerra dove tanto avrei perso in ogni caso?
Non lo sapevo e non volevo saperlo fino a quando però, nel momento in cui le forze mi abbandonarono del tutto, qualcun altro dovette decidere per me e così facendo mi diede finalmente una seconda possibilità.
Dovevo guarire o almeno provarci. Dovevo farlo per me stessa.
Così presi coraggio nel gennaio 2023 dopo lunghi dialoghi con professor Vitellaro decisi di farmi aiutare.
Sono passati quasi 2 mesi da quel giorno, ma credo che resterà sempre una delle date più importanti della mia vita.
Il giorno in cui è iniziato il percorso verso la riconquista della mia vita, il giorno in cui è cominciato il mio vero processo di guarigione. Il giorno in cui ho ricominciato ad amare.
Fino a quel momento tutto ciò che mi circondava era offuscato, poco preciso e instabile, ma una volta entrata nella modalità che dovevo vivere e non sopravvivere le cose iniziarono a cambiare.
Quel giorno, capii che non era finita.
Con loro si sta aprendo una nuova porta, quella della speranza e al suo interno trovo le mani della salvezza, quelle dei dottori e di tutti gli altri membri dell’equipe.
Non sono una paziente semplice, ne sono consapevole, ma forse è proprio questo la cosa che più mi sta colpendo di quel posto.
Riescono a tirare fuori il meglio dalle persone, anche quando tutto sembra essere ormai inutile.
Non posso ancora dire di essere rinata, sto cercando di riconquistare la mia vita pezzo per pezzo, ho lasciato finalmente che qualcuno mi sbattesse in faccia la realtà, che se non avessi accettato di collaborare le cose sarebbero finite male.
Ho saputo ascoltare le parole loro, ne ho fatto più volte tesoro e ho capito che ogni fiore poteva rinascere se curato attentamente.
E io sono quel fiore.
Ho deciso che era arrivato il momento di dire basta.
Così, lentamente e tra alti e bassi sto iniziando a riappropriarmi del mio corpo e soprattutto di me stessa.
non ho curato solo un corpo distrutto, ma una vita malata.
Sto imparando ad amare e a sorridere.
Ho incontrato persone meravigliose, ognuna delle quali ha contribuito a restituirmi parte di me stessa.
Sto capendo cosa era giusto e cosa è sbagliato.
Ho capito per prima cosa di aver sbagliato con me stessa, di essermi data troppe colpe e di essermi chiesta scusa poche volte.
Mi sono sentita finalmente a casa, in un posto che non era casa mia.
E per me è questa la cura. Una seconda casa.
Un posto dove poter scegliere di riappropriarsi della propria vita, un posto dove tutti vengono accettati per quello che sono e aiutati a crescere.
È il posto dove ho capito che la mia vita non funzionava perché stavo cercando la perfezione, una cosa in realtà inesistente, ed è anche lo stesso posto dove ho capito che ero più felice nella mia nuova vita imperfetta, la vita normale di ogni adolescente.
sono ancora la ragazzina malata ed indifesa di una volta, ma allo stesso tempo una donna matura che torna a trovare le persone che ama, le persone che le stanno salvando la vita, ma che le hanno fatto capire che la vita va vissuta, in tutte le sue sfumature.
Ringrazio particolarmente il Dottor Vitellaro all’associazione cotorella e animenta per non aver mai smesso di credere in me, per avermi aiutata e soprattutto voluto bene.
Ogni vostro consiglio è stato prezioso e ogni progresso fatto insieme è stato un nuovo passo per la ricerca della nuova me.
Grazie per avermi ridato la vita.
Grazie perché molto probabilmente senza di voi non sarei qui.
Vi voglio bene.