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Grandate, il parroco: “Gli antirazzisti chic i veri razzisti. Vorrebbero i campi scuola nazisti”

La verve orale e scrittoria dell’ex parroco di San Giuliano a Como e ora Grandate, don Roberto Pandolfi, è ormai nota. E se ha raggiunto picchi vicini al “bene assoluto”, in particolare quando chiese (e ottenne) verità e trasparenza ai tempi del caso degli abusi di un sacerdote poi condannato e “spretato” dal Papa per i fatti accaduti nel capoluogo, non raramente le sue riflessioni pubbliche hanno innescato polemiche e dibattiti al calor bianco.

Molti ricorderanno quella di un mese fa circa, quando si schierò apertamente dalla parte dell’ordinanza antiaccattoni fortemente voluta dalla Lega di Como e poi varata dal sindaco Mario Landriscina a cavallo tra dicembre e gennaio (titolammo l’articolo così: Zingari, africani con lo smartphone, parassiti, barboni. Grandate e il prete “posseduto” da Salvini).

Se possibile, però, l’ultimo scritto ha toni ancora più forti.

La riflessione si intitola “Bar” e in estrema sintesi contiene questo messaggio: i veri razzisti di oggi sono gli antirazzisti, i veri intolleranti sono gli autoproclamati tolleranti, sempre figli di una aristocrazia (di sinistra?) elitaria e intellettuale che – mentre altri partiti raccolgono migliaia di voti nelle periferie (la Lega?  A Como sì, come scrivemmo qui) – se solo potesse manderebbe in campi simili a quelli nazisti o dell’ex Unione Sovietica chiunque la pensi diversamente per una rieducazione culturale. Campi, peraltro, che il sacerdote afferma esistere “anche in campo ecclesiastico”.

Concetti di una durezza evidente, e tali in particolare perché espressi da un rappresentante della Chiesa. Per questo – e soprattutto poiché il testo è volutamente affidato al pubblico da don Roberto Pandolfi tramite una pagina accessibile a tutti sul sito della parrocchia di Grandate – trascriviamo integralmente il testo di seguito.

Premetto che non sono un frequentatore di bar.
Forse perché mi è rimasta l’immagine visiva e olfattiva dei luoghi fumosi dove si faceva fatica a respirare, tipici della mia infanzia.

Ma il bar è entrato prepotentemente nella mia riflessione perché ultimamente va molto di modo classificare come “discorsi da bar” tutto ciò che urta le sensibili narici di chi è abituato a frequentare solo i circoli intellettuali più elevati.

Si scopre così che alcuni politici (guarda caso quelli che hanno riscosso maggior successo alle ultime elezioni, ma si sa che il popolo è sempre un po’ restio, perché è bue, a farsi guidare dagli illuminati dei circoli chic) fanno discorsi da bar e vengono votati nelle periferie, forse anche perché i “discorsi da bar” coincidono con le legittime richieste ed esigenze di chi non può permettersi di pasteggiare con il Brunello di Montalcino, ma deve accontentarsi un più modesto Grignolino, quando ce l’ha.

“Discorsi da bar” sono quelli che spesso affondano le radici in un sano e semplice buonsenso. Ma si sa che la semplicità non è molto simpatica a chi consuma le proprie energie intellettuali e spirituali in acute analisi piene di sfumature e di fumosità perché, si sa, viviamo in una “società complessa”.

Quello che più mi fa pensare, però, è l’atteggiamento profondamente razzista e intollerante di tutti quelli che, dall’alto (si fa per dire) delle loro quattro ideine, scambiate per il verbo assoluto della sensatezza e della verità, fanno dell’antirazzismo e della tolleranza le bandiere (puramente teoriche) del loro pensare (?) e del loro agire.

Di conseguenza tutti coloro che non la pensano come loro fanno discorsi da bar e (ma questo non lo dicono, lo pensano soltanto, questi intellettuali. Il politicamente corretto è infatti il loro stile di vita) andrebbero rieducati in appositi campi scuola, come facevano i nazisti in Germania e i comunisti in Russia, Cina, Cuba, Cambogia…

Una soluzione intermedia sarebbe quella di chiudere i bar, ovviamente solo quelli in cui si fanno “discorsi da bar”. Ma il rischio sarebbe trasferire questi pericolosi e sovversivi discorsi ai giardinetti e non si possono chiudere anche quelli. Però, in fondo, si potrebbe anche.
Ai giardinetti mica ci vanno i bambini intelligenti figli degli intellettuali. Ci vanno i figli e i nipoti di quelli che fanno discorsi da bar. I figli degli intellettuali vanno nei club con piscina, campo da tennis e minigolf.

Mi ritrovo così a solidarizzare con i frequentatori dei bar e con tutti coloro che, anche senza andare al bar, fanno “discorsi da bar”. Anzi, quasi quasi comincio a sospettare di essere anch’io uno di questi loschi figuri, che Lombroso avrebbe messo tra coloro destinati a svolgere una funzione deleteria per l’umanità.

D’altronde, figlio di operai, nipote di operai, cresciuto giocando a calcio nei prati e a costruire capanne nei boschi che cosa posso pretendere da me stesso se non di avere un pensiero, se tale si può definire, massificato e appiattito sulle posizioni del più retrivo populismo?

Proprio per questo mi danno fastidio il razzismo degli antirazzisti e l’intolleranza dei tolleranti verso tutti quelli che non la pensano come loro.

Sono io che non capisco. Sono io che sbaglio. Sono io che devo convertirmi. Mi sa che dovrei fare richiesta per partecipare a qualche campo scuola di quelli succitati. Ce ne sono anche a livello ecclesiastico.
Quasi quasi…

don Roberto

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