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I cantieri affogano nella burocrazia. Molteni (Ance Como): “70 miliardi di opere finanziate ma ferme”

Il presidente dei Costruttori Edili comaschi, Francesco Molteni, è stato eletto nel consiglio di presidenza di Ance Lombardia.

Molteni sarà quindi alla guida dell’associazione lombarda fino al 2025 insieme al presidente bresciano Tiziano Pavoni, alla bergamasca Vanessa Pesenti e al pavese Alberto Righini.

Dopo Majocchi e Guffanti un altro comasco ai vertici di Ance: Francesco Molteni

“Sono molto soddisfatto di questo importante incarico – ha commentato a caldo Molteni – soprattutto per l’associazione di Como che rappresento: è la conferma del ruolo e del peso che la territoriale comasca riveste nella compagine regionale. Ance Como, infatti, negli ultimi anni è riuscita ad esprimere figure di primo piano e di valore riconosciuto da tutti: dal vicepresidente Maiocchi prima, al presidente Guffanti poi e, da ultimo, al sottoscritto che pure siederà nel Consiglio di Presidenza”.

E ha aggiunto: “Si tratta di un ruolo significativo, tanto più in questa fase così delicata per il nostro settore che vede potenzialità di grande interesse per i prossimi anni legate alle risorse del Recovery Plan e, in Lombardia, per l’organizzazione delle Olimpiadi invernali del 2026. Sedere ad un tavolo che sarà uno degli interlocutori per le scelte che verranno effettuate su questi temi è, senza dubbio, molto significativo per veicolare le risorse che serviranno allo sviluppo dei nostri territori nel prossimo futuro”.

Presidente veniamo al presente. Una nuova crisi per il settore edile. Come sta il comparto?
I dati comaschi sono in linea con quelli nazionali: contiamo un calo del 13% della produzione nell’ultimo anno. E’ un dato duro da affrontare soprattutto perché si collega a dieci anni in cui c’è stato un calo continuo dal 2008. In questo decennio abbiamo perso 120mila imprese e 600mila posti di lavoro.

Una crisi lunghissima.
Sì, che ha visto una forte contrazione degli investimenti nel settore ma anche norme non a favore del comparto che invece se supportato fa crescere tutta l’economia perché un euro investito nell’edilizia ne produce tre nell’economia nazionale. A questo bisogna aggiungere un decennio di politica fiscale contro la casa e la contrazione delle risorse pubbliche.

Il Recovery Fund però può invertire questa rotta.
Il Next Generation Eu ci può dare la possibilità di attivare cantieri con importi significativi. La storia del nostro Paese ci dice però che servono 15 anni per completare un’opera da 150 milioni di euro. Per questo motivo è fondamentale affrontare la normativa della Pubblica Amministrazione altrimenti rischiamo di non riuscire a utilizzare i fondi europei entro il 2026 e sarebbe un dramma perché sarebbe un’occasione persa per la collettività. Per questo stiamo cercando un’interlocuzione con il Governo sui tempi che si perdono soprattutto prima dell’apertura di un cantiere. Al momento, ad esempio abbiamo a livello nazionale 70 miliardi di opere già finanziate ma non ancora partite per la burocrazia.

Il settore edile è cambiato in questi anni. Quanto la transizione ecologica potrà aiutarlo?
Siamo protagonisti della transizione ecologica non solo per quel che riguarda le nuove costruzioni a basso impatto ma anche il rigenerare il patrimonio edilizio esistente affinché diventi sostenibile. Non a caso l’unico settore che ha tenuto in quest’anno di crisi pandemica è stato quello delle ristrutturazioni grazie ai Bonus.

Ritiene quindi virtuoso il Superbonus 110%?
La defiscalizzazione è la strada giusta perché tutti i soggetti coinvolti nel processo ottengono benefici: il cittadino, la città, il sistema imprese, la finanza e lo Stato. Per funzionare correttamente però il Superbonus 110% ha bisogno di tempo perché soprattutto la parte burocratica è molto lunga.

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