Non fai in tempo a finire la domanda (non originalissima, in effetti: “Ma come fate a resistere?”) ed ecco che Giuseppe De Toma salta: “Accidenti, mi tocchi nel vivo. Sono anni che faccio le mie proposte”. Già, perché il lungo, infinito e immutabile centro commerciale che va da Como a Palermo con un’indistinta e quasi del tutto omologata offerta al dettaglio è una delle cause, quando non la principale, dell’ecatombe di piccoli negozi a Como, descritta ampiamente nell’analisi di Confcommercio (qui l’intervista a Marco Cassina presidente di Federmoda Como). Non mancano le sacche di resistenza, ovvio, ma per circostanze e contesti peculiari. L’Osteria del Gallo di via Vitani, saldamente guidata da De Toma e famiglia da 41 anni, non è solo l’ultima oasi di pace enogastronomica laterale al fracasso della sala da ballo turistica del centro, ma è anche, con pochi altri, il baluardo di quella città tra le mura romane che per un qualsiasi 20enne di oggi è solo una foto sbiadita nell’album di mamma e nonno. “Se siamo ancora qui dopo quattro decenni – sorride sotto il baffo De Toma – è perché quello che facciamo lo facciamo bene”
Ma l’attivissima anima della Curteséla sa bene che non è così per tutti: “Dovremmo ispirarci a quello che fanno alcuni piccoli paesi quando perdono, per esempio, l’ultimo alimentari. In quel caso ci sono Comuni che offrono locali ad affitto zero perché si possa tornare ad avere un servizio che magari si concentra sul prodotto locale”. Cosa succede al capoluogo? “Ci sono tanti negozi vuoti, magari non in centro, ma la città è più grande del centro. I proprietari devono cominciare a calmierare gli affitti, la Camera di Commercio deve stimolare i giovani per tornare a personalizzare la città a restituirle identità, da Enna a Belluno oggi è tutto uguale”. E c’è un’idea precisa: “Richiamiamoci ai Magistri Cumacini, torniamo alla manualità, ci sono anziani pronti a insegnare. Penso alla fabbrica dei guanti che c’era in via Diaz, ai saperi antichi da riscoprire. Certo, bisogna aver voglia di lavorare e fare sacrifici, conosco titolari di negozi che non trovano personale perché nessuno vuole lavorare sabato e domenica. Qui avevamo un cuoco che il fine settimana voleva andare a ballare. Dobbiamo risvegliare i giovani, cominciamo a detassarli perché aprano nuovi negozi. Como ha tante possibilità”.
E quando si dice storia del commercio bisogna per forza passare da Moglia Confezioni in piazza San Fedele, negozio di abbigliamento per neonati e bambini. “Ce la facciamo – spiega il titolare Paolo Tettamanti, erede di una nobile tradizione di negozianti – perché le mura sono di proprietà ma è sempre più difficile”. Il punto è uno ed è chiaro: “I piccoli negozi dovrebbero essere considerati patrimonio di una città, altrimenti ogni centro storico diventa identico a un altro, andrebbero preservati se non tutelati per l’identità cittadina”. Cos’è cambiato, perché tanti hanno chiuso?
“Gli affitti sono altissimi e gli orari impossibili per negozi a conduzione famigliare. Si sta aperti sette giorni su sette, dalle 9.30 alle 19.30. Noi chiudiamo giusto a Natale, Santo Stefano e il primo dell’anno”. Ma si resiste: “Sarebbe più conveniente se affittassi le mura e me ne andassi a giocare a golf. Ma dopo 103 anni di storia, no, non lo faccio”. Il turismo aiuta? “Sicuramente è positivo ma certo a Natale il sindaco non ci ha aiutati, checché ne dica”. Riferimento al nuovo modello “Natale a Como”. “È stato un dicembre tra i più tristi dal punto divista dell’affluenza e dello spirito della festività – evidenzia Tettamanti – certo, poi la gente entra e compra ma non è stato come prima”.
A pochi metri, in via Vittorio Emanuele, c’è un altro baluardo: Mantovani Modellismo, la cui vetrina ha incantato generazioni di comaschi. Anche qui lo zoccolo duro del commercio che fu. “La concorrenza online – spiega Giovanni Bernasconi, titolare da 34 anni del negozio fondato dalla famiglia Moretti nel dopoguerra – obbliga ad allinearci a certi prezzi, altrimenti il cliente ne fa questione di principio. Si è disposti a pagare 10 euro un aperitivo ma poi qualcuno si lamenta se un trenino costa 110 euro invece che 100. Qui c’è grande passione, bisogna saper trattare la clientela e, sì, il turismo aiuta molto: il modellismo è una cultura radicata fuori dall’Italia, per esempio in Belgio”. Ma non solo passioni ultra specifiche.
“Cerco – spiega Giovanni – di fare entrare la mamma con il bimbo esponendo anche macchinine da 5 euro, superando il modellismo duro e puro con prodotti di ingresso, poi magari l’occhio cade su altro e nascono nuove passioni”. Insomma ce la si fa ma: “Restano difficoltà gigantesche con l’aumento dei costi di gestione”.
Un commento
Al centro di ogni villaggio di successo ci sono negozi indipendenti di successo che dimostrano il carattere unico della zona. Buona fortuna!