C’è un luogo a Como dove persone che si godono la pensione possono trascorrere interi pomeriggi giocando a carte seduti ai tavolini all’ombra degli alberi, dove i nipoti sfidano i nonni sul campo di bocce, dove si organizzano tornei e pranzi in cui ognuno porta qualcosa, dove le giovani coppie sono accolte con gioia e i loro bambini trovano un sacco di “nonni” pronti a viziarli e a non perderli di vista e dove i nipoti grandi tornano a giocare durante l’estate con i loro amici. Un luogo, insomma, in cui si può fare una cosa ormai sempre più rara, a qualsiasi età: fare amicizie e non sentirsi soli nonostante qualche acciacco, ridere e trascorrere la bella stagione fuori casa, in compagnia.
Questo piccolo angolo di serenità incredibilmente perfetto, è davvero il caso di dirlo, è il giardino di due grandi condomini in via Venturino, a Breccia, due blocchi di cemento in cui vivono oltre 150 famiglie sorti alla fine degli anni Settanta per volontà di una cooperativa di lavoratori che, dove una volta c’erano terreni paludosi, ha voluto costruire delle case per i propri soci.
Un progetto che, sulla carta, avrebbe potuto dar vita a uno di quei condomini-alveare che si vedono alle periferie di tante città, uno di quei posti che passando in macchina pensi “Io lì non ci vivrei neanche se mi regalassero la casa”. E invece la voglia di creare un luogo in cui vivere bene, e non solo tornare a dormire dopo il lavoro, ha fatto nascere un piccolo mondo in cui abitare è, oggettivamente, un privilegio raro in una società (e diciamo pure in una città) nella quale i luoghi di aggregazione spariscono, i legami si sfaldano e la solitudine, soprattutto a una certa età, sembra un destino ineluttabile.
E così che, tra i due palazzoni, hanno trovato spazio un grande giardino alberato con tanti tavolini all’ombra, un campo da bocce, campi da tennis, pallavolo e basket, un attrezzatissimo parco giochi per i più piccoli e un gazebo con i tavoli e una grande griglia per mangiare tutti insieme.
“Ci troviamo qui tutti i giorni, se il tempo lo permette, siamo circa una quarantina, quasi tutti dello stesso condominio a cui si aggiunge anche qualche amico che non abita qui, oltre ai nipoti ormai adolescenti che passano a trovarci e a trascorrere le giornate estive insieme ai loro amici – raccontano gli abitanti di questo angolo di paradiso seduti ai tavolini a chiacchierare e a giocare a carte o intenti a sfidarsi tra nonni e nipoti a bocce – il più anziano di noi ha 87 anni e il più giovane nascerà a dicembre e siamo come una grande famiglia: ci facciamo compagnia, ci diamo una mano a vicenda in caso di necessità, festeggiamo insieme i compleanni e la sera capita spesso che si improvvisi una cena. C’è chi sale in casa a prendere una bottiglia, chi una focaccia, una torta…facciamo spaghettate, grigliate, ordiniamo le pizze e prima del Covid organizzavamo anche delle gite, noleggiavamo un pullman e andavamo in gita e a pranzare fuori. Poi con la pandemia abbiamo smesso, ma dovremmo riprendere”.
Vera e propria anima e memoria storica di questo luogo, è Giuliano Romanò, 87 anni portati con l’energia e lo spirito di un giovanotto, che ricorda: “Queste case sono state costruite con i soldi di noi lavoratori e, durante il cantiere, il sabato e la domenica venivamo qui con le vanghe a costruire questo giardino – racconta – ce lo siamo fatto da soli, un pezzo alla volta, e quando siamo venuti ad abitare qui eravamo tutte giovani coppie, qui sono cresciuti i nostri figli e ora che siamo nonni ci giocano i nostri nipoti e trascorriamo il tempo tutti insieme. E siamo davvero una perla rara di integrazione, non solo tra persone di età diverse, ma anche tra italiani e persone straniere riuscendo a creare un’omogeneità che dovrebbe esserci ovunque e che, invece, spesso manca”.
E una volta all’anno, questa meravigliosa “famiglia” organizza anche il Venturino’s Day, un’intera giornata con di tornei di carte e di bocce con tanto di premi per i vincitori.
“I campioni condominiali di Scala 40 siamo noi”, raccontano sorridendo Frederick e sua moglie Christina tra una sfida a carte e un’occhiata al figlio che gioca sulle altalene. Loro due, originari della Nigeria, sono tra i più giovani membri di questa meravigliosa comunità a cui a fine anno regaleranno un nuovo “nipotino”: “Sono in Italia da sedici anni, lavoro all’ospedale Sant’Anna, e ho lasciato la mia famiglia in Nigeria, ma qui ne ho trovata un’altra – racconta Frederick – ora sono arrivate anche altre coppie giovani e al pomeriggio qui ci sono parecchi bambini che giocano. Si vive bene e qualsiasi incomprensione si risolve in fretta”.
“Se le istituzioni si prodigano poco per i quartieri, anche chi ci abita deve darsi da fare senza aspettare che tutto si risolva con la bacchetta magica – commenta Francesco Palmarese, 83 anni, attivissimo nel campo della solidarietà, ma anche uno dei “veterani” di questo luogo – sapendo che questo mondo c’è stato dato in prestito per quelli che vengono dopo, ognuno deve darsi da fare per quello che può”.