Esattamente un mese fa un ragazzo di diciassette anni perdeva la vita dopo un tuffo nelle acque del lago davanti al Tempio Voltiano. E proprio oggi alla nostra redazione è arrivata una mail scritta da una delle tantissime persone che, quel pomeriggio, hanno assistito alle disperate operazioni di salvataggio e che ancora, ogni giorno, vedono adulti e bambini fare il bagno nello stesso punto ignari dei cartelli di divieto.
“Ieri mi trovavo ai giardini. Volevo andare a vedere il lago e sono andata al Tempio Voltiano – scrive Myriam Patricia Murillo Rivera, una crocerossina colombiana originaria di Bogotà ma da tempo residente in città – al mio arrivo non credevo ai miei occhi: un uomo nuotava nello stesso punto in cui era morto il ragazzo portando con sé una bambina di circa sette anni”.
Davanti a questa scena, e soprattutto vedendo che altri genitori seguivano l’esempio entrando in acqua con i propri figli, Myriam non si è limitata a scuotere la testa o a scattare qualche foto con il cellulare da pubblicare scandalizzata sui social, ma è intervenuta con fermezza per mettere in guardia gli improvvisati bagnanti dei pericoli e, soprattutto, del divieto di balneazione: “Ho cominciato a urlare con tutte le mie forze per richiamare l’uomo verso riva segnalando il cartello di divieto di balneazione – racconta nella sua mail – urlavo e gli altri genitori si sono fermati di colpo per le mie urla disperate, ma l’uomo ha alzato le braccia per dire che se ne fregava. Allora ho avvisato una volante della Polizia che è corsa sul posto”. Reazione esagerata, penserà sicuramente qualcuno, dopotutto che male fanno?
Resta il fatto che appellarsi alla regola della mamma di non fare il bagno dopo aver mangiato o pensare di essere degli ottimo nuotatori non rende immuni dal correre dei rischi e, soprattutto, non autorizza a ignorare i divieti.
E se non bastasse il fatto che quella è una zona monumentale e non un lido (il che significa, oltre a un rispetto per i luoghi che può talvolta essere soggettivo, l’assenza di un bagnino), basterebbe ricordarsi che lì a un metro sfocia il Cosia, cioè le acque del depuratore della città che, per carità, non sono sicuramente il Gange ma neppure un ruscello alpino. Tutte ragioni, queste ed altre, per le quali lì vige il divieto di balneazione con tanto di cartello.
Già, il cartello, che però è appeso tre metri sopra il cielo ad un’altezza tale che neppure chi volesse riuscirebbe a vederlo, come fa ben presente Myriam: “Il cartello non si vede, bisogna metterne altri all’altezza del muretto, belli chiari – conclude infatti – prima che succedano altre tragedie per le quali diventerà famoso il lago di Como, bisogna muoversi immediatamente e fare qualcosa per avvisare il flusso turistico che sta arrivando”.
Perché vanno bene gli appelli, le pattuglie e le multe ma se davvero iniziassimo dal semplicissimo gesto di abbassare i cartelli di divieto ad altezza occhi?
4 Commenti
Fenomeno, esce il Cosia in quel punto, acque del depuratore. Voglio vedere te se vai a fare il bagno in un posto del genere, manco a 47° ci entreresti. Se è vietato è vietato. Finiamola di far finta di nulla che appena varchi il confine italiano ubbidisci come un cane. Asan.
È un problema talmente evidente …… ma a Como non è possibile prevenire.
I vigili ? In ferie o vittime della pandemia?
Ecco, io fatico a capire cosa fanno i vigili a Como. cioè, qual è il loro compito, le loro mansioni.
Ma lasciate fare il bagno alla gente: a dirla tutta, con queste temperature si rischia di più di morire di caldo che annegati.
Il problema non è fare il bagno, ma lo shock termico derivante dal lanciarsi di botto, che può causare un malore.
Se uno entra in acqua con calma, i rischi sono nulli.