Una vicenda paradossale sta emergendo in Lombardia, dove Clizia Passeggiato, una lavoratrice frontaliera residente sul Lago di Como, nella città di Lecco, ma impiegata in Svizzera, si trova da due mesi senza medico di base e accesso al Servizio Sanitario Nazionale (SSN), nonostante sia una contribuente italiana. Il caso solleva interrogativi sulla gestione dell’assistenza sanitaria per i lavoratori “fuori fascia” e sulle interpretazioni delle normative vigenti da parte delle autorità sanitarie locali. La vicenda è stata raccontata oggi dal Fatto Quotidiano
Il Diritto negato: una lavoratrice senza medico di base
Clizia Passeggiato, in possesso di permesso G, attraversa quotidianamente il confine per recarsi al lavoro nel Canton Ticino. Pur essendo una contribuente italiana e versando regolarmente le tasse nel nostro Paese, si vede negare l’iscrizione al Servizio sanitario nazionale dall’ASST di Lecco e da Regione Lombardia. Questa situazione la costringe a ricorrere al costoso sistema privato per ogni necessità medica, dall’ottenimento di certificati e ricette alla prescrizione di esami e visite specialistiche.
“È da due mesi che Clizia Passeggiato si trova in questa situazione: senza la possibilità di ottenere un certificato medico, una ricetta per i farmaci di cui ha bisogno, o una prescrizione per svolgere esami o visite specialistiche”, si legge nei passaggi riportati dal Fatto.
La distinzione “Fuori Fascia” e la tassazione concorrente
Passeggiato rientra nella categoria dei lavoratori frontalieri “fuori fascia”, ovvero coloro che risiedono in Comuni oltre i 20 chilometri dal confine, come Lecco. Questo status comporta una tassazione concorrente: si dichiara il reddito svizzero in Italia e si paga la differenza tra l’imposta italiana dovuta e quanto già trattenuto in Svizzera. Questo sistema garantisce che il lavoratore non paghi due volte, ma che entrambe le nazioni partecipino alla tassazione dello stesso reddito.
Nonostante contribuisca alla fiscalità italiana e non abbia sottoscritto alcuna copertura assicurativa con il sistema sanitario svizzero, optando per quello italiano, l’ASST di Lecco nega alla frontaliera lecchese l’iscrizione obbligatoria al Servizio Sanitario Regionale.
La repliche delle autorità e la posizione dei sindacati
L’ASST di Lecco giustifica il diniego affermando che “non sussiste il requisito relativo alla residenza in uno dei Comuni della lista dei Comuni italiani di frontiera”, condizione ritenuta obbligatoria per l’iscrizione gratuita.
Questa interpretazione è fortemente contestata dai sindacati. Matteo Mandressi, responsabile frontalieri CGIL Como, definisce la posizione dell’ASL e della Regione “un’assurdità totale” e “un’interpretazione cervellotica”. Sottolinea che “la lavoratrice paga le tasse in Italia, finanzia la sanità pubblica e quindi ha diritto al medico di base”. Mandressi evidenzia inoltre che non è la prima volta che si verificano casi simili e che “ci sono tanti frontalieri fuori fascia, pensiamo per esempio a chi vive a Milano ma lavora in Svizzera, che sono regolarmente iscritti al SSN. Non c’è una ragione logica per negare questo diritto”.
Pancrazio Raimondo, segretario generale UIL Frontalieri, rincara la dose definendo il procedimento dell’ASST di Lecco “illegittimo”. Spiega che “il limite della residenza nei comuni limitrofi non è la discriminante per avere diritto al SSN. La distinzione tra chi abita all’interno o all’esterno della fascia dei 20 chilometri serve solo a definire fiscalmente il lavoratore, non c’entra nulla con il diritto alla sanità pubblica”.
Regolamento europeo e Diritto di opzione
Raimondo ricorda inoltre il regolamento europeo 883 del 2004 sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, al quale ha aderito anche la Svizzera. Questo regolamento consente al frontaliere italiano il diritto di opzione: al momento dell’assunzione, il lavoratore può scegliere il sistema sanitario del Paese di residenza, come ha fatto Clizia Passeggiato.
“È una questione di legittimità. La decisione dell’Asst deve essere contestata. Non sta né in cielo né in terra che la signora non abbia diritto al medico di base. Fa la dichiarazione fiscale in Italia. Come si fa a sostenere che non contribuisce alla fiscalità generale?”, conclude Raimondo, invocando un’azione immediata per risolvere questa ingiustizia.
Il caso di Clizia Passeggiato pone in luce le complessità e le potenziali lacune del sistema sanitario e fiscale italiano nei confronti dei lavoratori frontalieri, sollevando interrogativi sulla coerenza delle normative e sulla garanzia dei diritti fondamentali dei cittadini. Sarà interessante vedere come evolverà la situazione e se le autorità sanitarie lombarde rivedranno la loro posizione.