Manca un equivalente italiano per riassumere il significato della parola “whistleblower”. Approssimativamente, indica una persona che, in possesso di informazioni riservate riguardanti pratiche pubbliche o private nocive alla collettività, decide di denunciarle ai media o alle autorità in nome dell’interesse pubblico.
Nomi come Chelsea Manning, Edward Snowden o Christopher Wylie potrebbero ricordarvi l’apporto di alcuni whistleblower nel portare alla luce abusi di potere di governi e compagnie, anche, e soprattutto, grazie all’aiuto di giornalisti investigativi.
Come il rapporto tra whistleblowing e giornalismo abbia illuminato molte zone d’ombra (governative e non) della realtà in cui viviamo, è al centro di Leaks.Whistleblowing e hacking nell’età senza segreti, libro (edito da LUISS University Press) del comasco Philip Di Salvo, docente ricercatore all’Istituto di Media e Giornalismo all’Università della Svizzera Italiana e firma della prestigiosa rivista di tecnologia Wired.
Il libro è stato lanciato al Salone Internazionale del Libro di Torino. Abbiamo incontrato Philip per parlare di Leaks, whistleblowing e dell’impatto che alcune dinamiche di internet stanno avendo sul nostro presente.
Philip, qual è la storia dietro al tuo libro?
Leaks nasce da due esperienze. La prima è il mio dottorato sul whistleblowing e il modo in cui esso può relazionarsi a giornalismo, crittografia e sicurezza informatica. La seconda è stata la possibilità di coprire questi temi per Wired negli anni.
Questo libro è una summa degli eventi succedutisi dal 2010 in poi, con l’emergere di WikiLeaks, fino agli arresti recenti di Chelsea Manning e Julian Assange, che dimostrano quanto ancora questo tema sia importante.
Il dibattito sulla pratica del whistleblowing è tutt’altro che unanime.
Per alcuni, inclusi Barack Obama o Donald Trump, whistleblower come Edward Snowden sono dei traditori da arrestare. Ma il whistleblowing è una pratica democratica che fornisce la circolazione di informazioni. I grandi casi di whistleblowing degli ultimi anni, ad esempio, hanno hanno messo in luce temi che non erano mai stati affrontati in maniera simile, come la sorveglianza da parte dei governi sui propri cittadini o sulla mancanza di adeguato controllo da parte di Facebook sui dati dei suoi utenti. Se abbiamo bisogno di un whistleblower per saperne di più, significa che abbiamo un grande problema di trasparenza nella società e nelle istituzioni.
Di whistleblowing si parla poco in Italia, dove non sembra esserci una gran cultura della trasparenza.
In Italia ci sono alcune esperienze che hanno promosso pratiche atte ad incoraggiare il whistleblowing. Ma siamo ancora indietro su alcuni aspetti. Abbiamo bisogno di diffondere pratiche giornalistiche in grado di difendere le fonti. Culturalmente manca anche un termine italiano in grado di definire cosa sia un “whistleblower”. Dal punto di vista giuridico, l’attuale legge che protegge il whistleblower è buona ma perfettibile. Migliorare questi meccanismi potrebbe portare dei benefici in un Paese in cui la corruzione non manca.
Come dicevi, alcune “soffiate” hanno messo in luce aspetti negativi dell’impatto che le tecnologie hanno sulla nostra vita. Tecnologicamente parlando, viviamo in un sogno o in un incubo?
La tecnologia non è causa dei nostri mali nè sarà la nostra salvezza. Il web di oggi è un’utopia fallita che ha tradito il sentimento positivo degli inizi. Il potere è accentrato nelle mani di poche corporation. L’economia dei dati è fuori controllo. La sorveglianza è il business model della rete. È un web che va riformato, mettendo al centro le persone e non gli interessi delle grandi compagnie.
Whistleblower come Chelsea Manning o Edward Snowden hanno dovuto affrontare le pesanti conseguenze delle loro rivelazioni come l’arresto o l’esilio. Vedremo altri leaks in futuro o la repressione governativa rischierà di avere la meglio?
È inevitabile che succeda di nuovo. Ci sono tanti angoli d’ombra su molti processi democratici legati alla tecnologia. È possibile che i prossimi leaks provengano dalle grandi compagnie della Silicon Valley, che gestiscono dinamiche democratiche coperte per adesso da segreti aziendali.