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Nello Scavo: “Il silenzio di don Roberto nella Como ingrata. Chi evoca rastrellamenti è fuori dal suo esempio”

A pochi giorni dall’omicidio di don Roberto Malgesini, la forza silenziosa di questo piccolo grande prete pronto a spendersi per i “dimenticati” sembra non essersi mai spenta.

Perché quello che sta succedendo, tra ricordi, dichiarazioni e qualche polemica, è qualcosa che, se letto con attenzione, potrebbe essere l’inizio di un cambiamento, o almeno di una riflessione. Che sarebbe già tanto. Ne parliamo con Nello Scavo, giornalista comasco, firma di punta del quotidiano “Avvenire” da sempre impegnato su questi temi.

Il responsabile della Caritas Roberto Bernasconi, ricordando don Roberto, ha detto che “la città e il mondo non hanno capito la sua missione”.

È una riflessione che condivido abbastanza. Il povero è sempre una provocazione ed è più facile nascondere la polvere sotto il tappeto piuttosto che occuparsene. Don Roberto ci avrebbe costretti a entrare nella complessità di un problema che, tante volte, vogliamo risolvere con degli slogan precostituiti. La sua è stata una figura dirompente.

In che cosa?

Lo è stata dal punto di vista evangelico perché lui, impiegato di banca con una vita normalissima, un bel giorno ha deciso di abbandonare tutto e dedicarsi ai poveri stando per strada non con un’associazione organizzata ma come prete, intendendo la carità come forma di preghiera. E dirompente anche dal punto di vista mediatico, perché di lui non c’è traccia sui media, nessuna intervista, nessuna dichiarazione. Ma non era la scelta di chi si nasconde, bensì quella di chi ha altro da fare e preferisce testimoniare con le opere.

Si potrebbe ribattere che è quello che ogni prete dovrebbe fare. Cosa rende invece così speciale l’opera di don Roberto?

La più grande provocazione per me non è solo che un prete fosse in questo modo, un po’ un “santo della porta accanto”, ma che tanti laici gli stessero accanto con questo stesso stile, lavorando in silenzio nell’ingratitudine della città.

Immagino si riferisca alla multa, poi archiviata, per aver contravvenuto al divieto di portare la colazione ai senzatetto (circostanza che per l’assessore alla Sicurezza, Elena Negretti, avrebbe una lettura diversa).

Quella è una storia che mi indigna ancora adesso così come le fontanelle chiuse o le panchine di piazza San Rocco tolte. In questi anni c’è stato un grande sforzo anche economico per cercare di allontanare il problema e non per cercare di risolverlo. La cosa grave è che le istituzioni non se ne sono solo infischiate lasciando don Roberto a fare quello che voleva, ma hanno fatto di tutto per mettere in difficoltà i più bisognosi.

Ne esce l’immagine di una città incapace di risolvere i problemi, ma anche di aiutare chi lo fa al posto suo.

È così. Il lavoro di don Roberto è stato utilissimo anche per l’ordine pubblico perché non è che se lui non avesse portato le colazioni, i migranti se ne sarebbero andati altrove. Il fatto che ci fosse qualcuno che li conosceva, con cui intraprendere anche percorsi di inclusione, è stato un servizio alla città, non una cosa da ostacolare.

Matteo Salvini ha rivendicato la bontà della chiusura del centro di accoglienza di via Regina, sostiene la cancellata a San Francesco e osteggia il nuovo dormitorio.

Salvini su questa faccenda dovrebbe tacere perché all’epoca del primo decreto di espulsione dell’assassino di don Roberto, nel 2018, lui era ministro dell’Interno e a quell’epoca c’è stato il minimo storico dei rimpatri dall’Italia alla Tunisia (l’omicida è di nazionalità tunisina Ndr). E poi trovo deprecabile il tentativo di scaricare tutto sulle Forze dell’ordine, come se all’improvviso la colpa sia di chi doveva eseguire il rimpatrio e non l’ha eseguito, dimenticandosi che la legge sull’immigrazione si chiama ancora Bossi-Fini e neanche Salvini è riuscito a cambiarla. Inoltre durante il suo governo i centri per accogliere anche le persone in attesa di rimpatrio sono stati smantellati: se tu sei espulso ma la politica non è in grado di farti tornare al tuo Paese, dove vai?

E cosa ne pensa delle posizioni di altri esponenti politici di destra? Qualcuno è apparso più mite, come il governatore della Lombardia Attilio Fontana.

Le parole sono importanti: accanto a un’Alessandra Locatelli che scrive che don Roberto è stato decapitato, cosa non vera che ricorda i musulmani brutti e cattivi che tagliano la testa alla gente, Fontana non parla di clandestino ma di senzatetto, di poveri e non di migranti. E anche il deputato comasco della Lega Eugenio Zoffili, dopo essere partito in quarta, alla fine della sua dichiarazione ha detto che onorerà la memoria di don Roberto con iniziative concrete. E la stessa cosa vale per il deputato di Fratelli d’Italia Alessio Butti che si è domandato se la cancellata a San Francesco avrebbe evitato questo omicidio. E anche il sindaco Landriscina ha usato parole di buon senso.

Come interpreta queste parole?

Ho l’impressione che don Roberto sia riuscito a fare un piccolo grande miracolo, al di là dei proclami. Perché se dici che il suo esempio non deve andare perduto, vuol dire che domattina qualcuno deve portare la colazione alla gente, non che vai a fare i rastrellamenti per portarli nei centri di rimpatrio del sud come suggerisce qualcuno (il consigliere comunale di Fratelli d’Italia Sergio De Santis, Ndr). Questo sacrificio ha fatto emergere una serie di contraddizioni, ho visto molto arrampicarsi sugli specchi ma anche segnali di apertura più o meno inconsci. Ripartiamo da qui.

Cosa può fare la politica comasca, oggi, per onorare davvero l’esempio di don Roberto?

Ci sono in città esponenti della destra sociale che vivono con profondo disagio quello che è successo in questi anni e c’è anche il pasticcere o il barista che magari votano Lega ma che a don Roberto non riuscivano a dire no e gli regalavano le brioches. Non credo che le cose possano cambiare dall’oggi al domani ma è come se don Roberto ci avesse dimostrato che la vita reale è molto diversa da quello che si dice “social” e la politica dovrebbe prendere esempio dal suo silenzio operoso. E se il sindaco, che in questi giorni ha usato parole di buonsenso, volesse farsi promotore di un nuovo confronto superando i dogmi di partito non verrebbe ricordato per quello che ha dato la multa a don Roberto.

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