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Passerelle, sentieri, anfiteatro: così poteva rinascere il Bosco San Martino. “Persa una grande occasione”

Eppure, per la rinascita e valorizzazione almeno del grande polmone verde del San Martino, un progetto messo a punto da vere autorità del settore, senza bisogno di enormi cifre per diventare realtà (168mila euro) e fattibile in tempi ragionevoli (12 mesi), era tutto fatto e finito. Era quello messo a punto nel 2018 dall’Ersaf (Ente regionale per i servizi all’agricoltura e alle foreste) guidato ai tempi da Elisabetta Parravicini. Venne anche presentato al Comune di Como, ma da allora è rimasto chiuso in un cassetto. Che ora riapriamo, con qualche rammarico.

La proposta per fare del Bosco San Martino la connessione ecologica perfetta tra il Parco della Spina Verde e il Parco della Valle del Cosia prevedeva alcune fasi specifiche di lavoro. Innanzitutto, la riapertura e la sistemazione della viabilità principale e la sistemazione dei dissesti, pensando soprattutto a un’infrastruttura adatta al transito di biciclette, pedoni e portatori di disabilità (con l’idea di passaggi in cippato e specifiche passerelle, pensate per zone umide e boschive). Poi c’era la gestione della componente forestale e arbustiva, con la messa in sicurezza delle piante pericolanti e le potature. Le opere di questa fase avrebbero costituito il lavoro centrale e più oneroso del progetto, poiché sviluppate su un’ampia superficie (circa 7 ettari); tuttavia avrebbero permesso di garantire la fruizione di tutta la superficie (anche al di fuori della viabilità) in sicurezza.

Naturalmente, molta attenzione era riservata alla riapertura e alla sistemazione della viabilità secondaria tramite la posa di gradini, il recupero delle scalinate esistenti e andando a formare una rete di passaggi pedonali simili a sentieri, riaprendo vecchi tracciati e sistemandoli dove necessario con piccole opere. Per l’osservazione degli habitat – in particolare quelli con le pozze effimere (contestualmente con la regimazione delle acque) – era ipotizzato l’uso di passerelle per la visita e l’osservazione anche con funzioni didattiche.

Per quanto riguarda i prati – previa adeguata manutenzione – Ersaf proponeva il recupero anche attraverso la semina con essenze autoctone da fiore a bassa manutenzione, per incrementare la biodiversità e favorire gli insetti impollinatori. E ancora: “La creazione di siepi perimetrali (o rampicanti) a coprire le situazioni di degrado lungo il perimetro Sud-Ovest, la creazione di punti riconoscibili che possano rappresentare un’immagine evocativa del Bosco San Martino”. In pratica, “tutte azioni realizzabili con la messa a dimora di pochi alberi di specie autoctone, con caratteristiche di produzione di frutta e bacche per gli animali o di memoria storica, ricorrendo a varietà antiche”.

Infine, il progetto di fattibilità contemplava pure la “demolizione di strutture fatiscenti o ruderi, smaltimento, formazione di nuove recinzioni dove necessarie e riparazioni”.

 

C’era poi il capitolo legato all’arredo, con “un numero limitato di panchine, bacheche e aree di sosta attrezzate con materiale proveniente dai tagli realizzati in loco” più “la presenza di una grande area ad anfiteatro naturale che offra la possibilità di realizzare un’aula all’aperto, utilizzabile per l’educazione ambientale o la realizzazione di eventi e animazione”. A chiudere il tutto, nuovo impianto elettrico e di illuminazione lungo la viabilità principale ma “poco invasivo e con luci radenti a illuminare solo la strada, per evitare stress a piante e animali, contenendo di conseguenza i costi”.

Naturalmente, tutto questo andava finanziato tramite fundraising, coinvolgendo privati e/o imprese comasche interessate a collegare la loro immagine alla sistemazione di una parte della città in cui vivono o operano, bandi specifici di fondazioni (Cariplo, FAI) oppure il Fondo Aree Verdi (regionale), cioè proventi generati dalle compensazioni per lo sfruttamento del suolo.

La giostra delle promesse s’è fermata, come sei ridicolo vecchio San Martino con quel trucco bellissimo in faccia

Il rammarico dell’ex presidente comasca: “Ecco come si è persa una grande occasione”

“Era una bellissima opportunità”. Nessun accenno polemico nelle parole di Elisabetta Parravicini, presidente di Ersaf proprio negli anni in cui l’ente mise nero su bianco il progetto di fattibilità per ridare alla città l’area verde del San Martino come bosco urbano, vivibile e aperto. Un po’ di rammarico per come è finita la vicenda, però – soprattutto alla luce delle condizioni in cui versa ora (e da anni) il comparto – oggettivamente si percepisce.

“Nel 2013 ero stata nominata presidente di Ersaf – racconta – sono comasca, dunque mi ero accorta delle grandi potenzialità dell’area anche molto tempo prima. E assieme all’allora consigliera regionale Daniela Maroni, mi interessai per capire come recuperarla e valorizzarla, tanto che nel 2015 visitai l’intero compendio, dalle strutture al bosco”.

“Mi ero informata sulla proprietà e accertammo che l’intera parte boschiva è di Ats Insubria – prosegue Parravicini – la situazione già allora era complessa, ma io insistei perché quel bosco aveva e ha tutt’ora un’importanza strategica. Parliamo della connessione tra il Plis del Cosia e la Spina Verde, dunque lavorammo sulla creazione di un corridoio ecologico e coinvolgemmo tutti i vertici di allora sia di Ats che dell’Asst Lariana, proprietaria a sua volta di alcune parti dell’area. E parlammo ovviamente anche con il Comune di Como, che aveva qualche titubanza soprattutto sulla gestione della sicurezza. Inoltre, discutemmo con Arca, che ha sede proprio nel parco, e, per la manutenzione dell’area verde, trovammo un accordo per cui la manutenzione sarebbe stata fatta da loro e dunque sarebbe rientrata senza costi. Insomma, era stato un lavoro lungo, non privo di difficoltà ma fruttuoso: a luglio del 2018 si stava lavorando alla convenzione tra Ats, Ersaf, Regione e Comune”.

Eppure, proprio nell’anno in cui sembrava aprirsi più di uno spiraglio per una rinascita, le cose si incepparono (peraltro poco prima che la stessa Parravicini lasciasse la presidenza di Ersaf). “La mia idea era presentare il progetto a un bando Cariplo ma chi è venuto dopo di me, e io non ero d’accordo, decise invece di unire il nostro progetto da 168mila euro con uno molto più grande che coinvolgeva anche la Spina Verde – si rammarica l’ex presidente di Ersaf – i costi per l’insieme, però, erano esplosi a cifre milionarie. E, alla fine, quel progetto non venne scelto”. È il momento, di fatto, in cui la ruota del San Martino smette di girare per l’ennesima volta.

“A me dispiace tantissimo – conclude Parravicini – il nostro intervento era leggerissimo, molto moderno, vivibile con percorsi e passerelle, centrato sulla tutela e valorizzazione, senza trasformarlo in un parco giochi o in qualcosa che ne snaturi le caratteristiche, visto che come bosco è intoccabile”.

Non manca una nota finale venata da chiara amarezza: “Ho appreso che che Arca ha illustrato recentemente un progetto molto simile al nostro, ma che prevederebbe un accesso molto limitato all’area. Mi chiedo che senso abbia, non trovo che sia corretto. Il livello di tutela integrale si applica soltanto per zone di grandissimo pregio naturalistico e a Como un bosco urbano farebbe bene. Il mio timore, ora, è che non si concluda nulla ancora per anni, soprattutto se si continua a ragionare su una visione totale del compendio. Continuo a pensare che sia meglio iniziare da qualche parte, io dico dal bosco. Fare qualcosa, insomma, per non rimanere immobili a lungo”.

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5 Commenti

  1. Ho conosciuto la dottoressa Parravicini durante la sua gestione in Ersaf. Si è occupata non solo di forestazione urbana, ma anche di sviluppo territoriale e tutela ambientale. La sua competenza e serietà l’avevano portata ad essere persino eletta vicepresidente di euromontana. Un peccato perdere certe capacità e non cogliere l’opportunità di progetti di questo tipo che sono volti al bene delle comunità e dell’ambiente.

  2. Sono d’accordo il progetto era davvero bello e fattibile…. peccato che gli Enti coinvolti abbiano perso tempo … chissà se qualcuno vorrà ripescarlo e restituire finalmente l’area alla città per tutti i cittadini…. tante città europee sostando muovendo in tal senso, ma in Italia, come sempre, si parla tanto e si combina poco.

  3. Recuperare un progetto che ha un costo limitato e un beneficio elevato è il modo corretto di valorizzare le competenze di chi ha lavorato su Como.
    Tutte le ferite aperte di Como hanno la medesima soluzione.
    Quello che manca non sono le risorse economiche ma la capacità, pazienza e autorevolezza di mettere insieme 3 o 4 enti diversi in una convenzione per realizzare un progetto.
    Questo è il vero dramma di avere l’uomo solo al comando.
    I comaschi l’hanno capito?

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