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Como, a spasso tra le rovine del San Martino: balena di calce e mattoni che ha inghiottito sogni e promesse

Se ne sta lì, enorme. Dormiente. Dimenticato. E pensare che ai suoi piedi, tutt’attorno, la vita scorre sempre frenetica, incessante, in un anello cieco di traffico e viavai.

Basta però varcare il cancellone e iniziare la breve inerpicata verso il colle per piombare in un’isola silenziosa sopra la città.

Visitare il corpo malandato del San Martino, straniante balena di calce e mattoni in mezzo al verde, è un’esperienza che non lascia indifferenti. Le vedi subito le gigantesche potenzialità del luogo, i sibili del silenzio aiutano. Potrebbe essere qualsiasi cosa quel posto: la facciata dell’ex ospedale psichiatrico, con l’orologio dove il tempo s’è impigliato nella ruggine e le foglie secche che sfiorano le ante a penzoloni, sarebbe un set cinematografico perfetto.

Un noir di inizio secolo o un prequel della saga di Halloween sarebbero a casa. Solo un jersey di plastica bianca con il cartello recante “Tamponi” ricorda che siamo nel 2021 e c’è una pandemia in corso. Il resto è senza tempo.

Dovrebbero dare segni di vita i tanti cartellini con sigle e numeri accanto alle mille porte che spezzano la noia della facciata, ma sembra solo un linguaggio per alieni non ancora sbarcati.

Ci sono ancora propaggini di Ats e Asst in alcuni lembi di questo “Palazzo di Rubik”, dove ogni parete va ricomposta col pensiero. Ma devi saperlo, devi sapere esattamente dove cercare e chi perché non ti imbatterai mai fisicamente in persone reali percorrendo i vialetti muti che circondano come una serpe il corpaccione del vecchio ospedale psichiatrico.

E’ tutta un’astrazione il San Martino: i boschi che divampano nei cortili immensi e scalcinati al centro del palazzone, i corridoio spettrali che conducono al nulla, gli anfratti squallidi e piastrellati che si aprono da finestre squarciate.

Quante volte si è sentito parlare di recupero del “polmone verde di Como”, di restituirlo e magari collegarlo davvero alla città insolente di sotto, di farci addirittura un campus universitario o, in questi mesi, di trasferirci il Setificio.

Del tutto inutile raccontare dettagli su progetti, idee, iniziative: non se n’è realizzata una, ne sentiremo ancora mille.

 

Intanto l’ospedale dismesso nel ’98 continua a dormire. Si gode l’immeritata rovina tra rami secchi, vetri rotti e qualche esiliato qua e là. Ne sentiremo ancora inutilmente parlare, di questo colle magnifico e dimenticato ma intanto San Martino è smorto.

Vive solo un lugubre San Mortino là sopra.

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5 Commenti

  1. La situazione è drammatica perché tutti i politici che hanno avuto il potere reale per risolvere il problema NON HANNO DOVUTO RISPONDERE DI TASCA LORO PER L’ABBANDONO E LA CONSEGUENTE PERDITA ECONOMICA DERIVANTE. LO STESSO VALE PER LA TICOSA. DECINE E FORSE CENTINAIA DI MILIONI PERSI IN ATTESA DEI CROLLI E FUTURE SVENDITE DELLE AREE.
    L’OBIETTIVO È PROBABILMENTE QUELLO DI SVENDERE.

  2. Si parla tanto di Ticosa, forse troppo, e di questo angolo ci dimentichiamo spesso, come della caserma e del distretto, del Politeama… angoli di una città senza immaginazione e senza domani

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