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Il pianto (immaginario) del Ponte: “Io, superbo, volevo il cielo. Ora sono solo e ho paura”

Sul Ponte di via Badone, inaugurato appena 18 mesi fa, se ne sono già dette di tutti colori: bello, brutto, costoso, a norma, non a norma, a norma ma non da solo e così via. Di sicuro, la mastodontica passerella che solca il cielo di Camerlata e unisce la piazza davanti all’Esselunga all’altro capo della strada, nasceva con una funzione specifica in capo a tutte le altre: rendere più sicuro l’attraversamento soprattutto e prima di tutto per le centinaia di studenti che ogni giorno raggiungono il liceo scientifico Paolo Giovio. Questo, al di là di ogni altra tesi o funzione possibile, era lo scopo con cui nasceva l’opera costata al Comune di Como (indirettamente, ma pur sempre con soldi spettanti a Palazzo Cernezzi) poco più di un milione di euro.

Ebbene, dopo tante discussioni, polemiche, analisi, cosa si poteva fare di meglio se non “far parlare” di sé il ponte stesso? Ecco, dunque, la prima intervista (semiseria, ovviamente; anzi, molto più semi che seria) al passerellone di Camerlata. Un artificio letterario (inteso come aggettivo puro, senza ambizione) che, in fondo, varrà pur sempre meno delle fotografie – verissime, queste – scattate oggi pochi minuti dopo le 13 ai piedi dello stesso dinosauro a gradini.

Di seguito, la “lettera fantastica del Ponte”.

 

“Ciao a tutti, sono proprio il Ponte di via Badone. Sì, quel serpentone a scaletta che sembra salire il cielo e poi ridiscende morbido a terra. E sì, sono l’opera da un milione di euro. Calma, però, non arrabbiatevi subito. Ascoltatemi, prima.

Che dire, bello sono bello. Superbo, direi. Su questo non ammetto discussioni. Guardatemi: elegante nel mio abito di vernice bianca, fine con i miei gradini color mattone, sexy con le mie curve dolci e inoffensive. Sono bello, lo rivendico. E poi sono moderno, grande, possente ma con grazia. Non è per fare il civettuolo, ci credo proprio. No, dico: ma mi avete mai visto di notte, tutto illuminato? Sembro una piccola cometa nel cielo nero di Camerlata. Non mi pare poco.

Come dite? Con tutti quei gradini sono nemico dei disabili? Mah, nemico no. Si può discutere però, questo sì. In effetti, scivolare con la carrozzina tra un gradone e l’altro non è semplicissimo. Qui posso convenire. Contesto, invece, le accuse di essere troppo costoso? Ma che, scherziamo? Un milione di euro! Parliamo di un misero milione di euro! Che cosa ci si fa, oggi, con un misero milione di euro? Un Comune poi! Soldi che bastano si e no per 3-4 spese all’Esselunga, due lampioni nuovi e una panchina sul laghetto in Ticosa. La Ticosa, poi. Ve la prendete con me quando avete una Ticosa? O un lungolago conciato così? Non fatemi ridere, suvvia.

Insomma, non sono questi i problemi. Che pure, ahimé, ci sono. E qui mi intristisco un po’ anche io. Perché, sapete, ciò che opprime pure me, il mio cuore a gradini, è la solitudine. Stare lassù, sospeso nel vuoto dà sempre un’ebbrezza, ci mancherebbe. Ma vorrei condividerla. Vorrei condividere la vista alta, ampia, libera dalla cima della scala. Vorrei sentir tambureggiare tacchi e tacchetti sulla mia schiena docile, vorrei essere calpestato di più, sentirvi passare, correre, camminare, passeggiare con il naso all’ingiù. E invece…e invece no.

Per carità, qualcuno passa ogni tanto. Una sneaker ogni mezz’ora mi accarezza le forme, qualche stiletto capita lì per caso. Ricordo un paio di Moon Boot a febbraio. Ma è raro. Molto raro.

E poi c’è un momento della giornata in cui l’unica cosa che sale su di me è la depressione. Capita dal lunedì al sabato, 9 mesi all’anno, attorno alle 13. Quando vedo la fiumana giovane che scorre dal Giovio in giù, si accende la speranza. Vorrei essere l’alveo di tanta gioventù. Invece nulla. O quasi. Quel torrente impetuoso devia sempre, all’ultimo minuto. E passa sotto. Implacabilmente sotto di me, tra semafori, zebre e gas di scarico. Centinaia, migliaia di gocce di vita che mi evitano – gli zaini in spalla – ogni santo giorno. Divento un’inutile volta sopra la vita sotto.

Quando l’ondata è passata, e sulle mie scale non è rimasta che qualche goccia distratta, la speranza si spegne. E la solitudine si fa ogni giorno più pesante. In quell’istante, ignorato dalle moltitudini dei 18 anni per cui sono stato pensato, voluto, costruito, mi guardo dentro. E’ il momento esatto in cui penso che forse ho fallito. Che mi sono spinto troppo vicino al cielo per piacere a chi resta con i piedi per terra”

© RIPRODUZIONE RISERVATA

2 Commenti

  1. uso il ponte ogni volta che devo andare a Camerlata o a COMO, spesse volte scendo a piedi ( amo camminare )
    TROVO IL PONTE BELLO , MI SERVE ANCHE PER FARE GINNASTICA , è vero è spesso deserto e mi fa malinconia. Molti miei conoscenti non lo amano non lo trovano bello… i disabili ? possono passare lungo la strada. Non è cattiveria ho avuto il marito disabile , conosco il problema.

  2. La foto pubblicata, scattata dal ponte verso l’intersezione di via Paoli é emblematica e da subito molte delle risposte
    Si vedono una quindicina di ragazzi che attraversano la parte finale di via Badone, assolutamente rispettando le regole, ma il punto é che lì non ci dovrebbe essere nessun attraversamento pedonale!
    eliminando quel attraversamento si otteneva il verso snellimento del traffico auto provenienti dalla Varesina con la svolta a sinistra continua, idem per chi fosse diretto a Milano. Ci sono già passaggi pedonali sulla Paoli, 100 metri primi e 100 metri dopo, e per via Badone c’è appunto il ponte, ovviamente però sarebbe dovuto sorgere con due torri ascensore, per anziani e disabili, a quel punto sarebbe stato doverosamente sfruttato
    Il perché invece é uscito questo attuale pastrocchio, francamente non so chi accusare, meglio accuso tutti

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