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Veterane e novizie. Infermiere tra vita e morte: gli angeli bianchi del Sant’Anna in mostra

Le sembrerà banale quello che dico ma il motivo per cui ho scelto questo mestiere è il senso di solidarietà, il voler aiutare gli altri”.

Tutt’altro che banali le parole commosse di Rita De Poi, ottantentenne e caposala veterana dell’ ospedale Sant’Anna, presente oggi all’inaugurazione della mostra, collocata nella hall della struttura, che celebra i 60 anni di formazione infermieristica.

Originaria della Valdobbiadene, Rita arriva alla Scuola Convitto di Como nel 1960 con il sogno di diventare caposala, desiderio che realizza tre anni dopo abbracciando la professione e l’ospedale comasco, che non abbandonerà più fino al pensionamento.

“Ho lavorato i primi 6 anni in pediatria – racconta Rita – erano anni difficili. Il tasso di mortalità infantile era molto alto soprattutto per i casi di leucemia”.

Successivamente, in occasione dei primi pap test effettuati alle donne, Rita frequenta un corso di formazione in citologia ed entra a far parte del laboratorio di analisi.

La formazione scolastica è molto importante – prosegue – perché ti fornisce gli strumenti necessari per poter espletare questo mestiere. Hai la responsabilità della vita delle persone, glielo devi. Poi c’è la seconda scuola, quella sul campo, che ti mette a contatto con la malattia. E lì impari l’umanità e a non soccombere con l’empatia”.

Il legame tra paziente e infermiere è molto forte ed è complesso mantenere il giusto distacco professionale.

“Ricordo Marco, un bambino di quattro anni – aggiunge commossa – che morì di leucemia negli anni settanta. Avevamo stretto un rapporto speciale, lo stringevo con tutti i miei piccoli pazienti. Il giorno del funerale arrivai in ritardo perché ero di turno e i genitori aspettarono me per far partire la cerimonia funebre. Sapevano che Marco mi voleva lì”.

Un mestiere che ti immerge in momenti difficili ma anche gioiosi.

“ Il conforto e la speranza – afferma – sono il valore aggiunto del mio mestiere. Quando salvi una vita salvi anche il microcosmo che gli gravita intorno, fatto di parenti e amici. Restituire il sorriso scalda il cuore. E quel calore lo porti a casa con te, anche dopo aver smontato dal turno”.

Un mestiere che ha subito notevoli avanzamenti in campo medico e tecnologico.

La medicina ha fatto passi da gigante – commenta soddisfatta – e molte persone hanno avuta salva la vita grazie a questo. Anche la tecnologia è entrata in reparto snellendo molte procedure. Devo dire, però, che l’ingresso della tecnologia ha creato anche un po’ di distacco dal paziente rispetto a prima”.
La malattia entra nella vita di tutti e saperla gestire accresce consapevolezza non solo nel paziente ma anche in coloro che gli stanno vicino.

“La positività è indispensabile – sottolinea energica – recenti studi dimostrano quanto la psicologia del paziente stesso influisca in maniera prorompente sull’esito delle cure. È un processo interessante che ho approfondito di recente insieme a tanti altri argomenti, mi tengo sempre aggiornata. Non si smette mai di essere infermiere”.

Le scoperte mediche approfondite da Rita sono quelle su cui si poggia lo studio delle nuove leve.

“ Questo mestiere si sceglie – commenta Ilaria Solari, studentessa ventenne – non capita per caso. Sento il forte bisogno di essere d’aiuto a chi soffre ed è per questo che ho imboccato questa strada”.

Ilaria frequenta il secondo anno di scienze infermieristiche all’università Insubria e la sua convinzione arriva dall’ambiente familiare, con una zia educatrice in una comunità per tossicodipendenti e propensa alla solidarietà.

“Sono impaziente di cominciare – commenta felice, indossando la divisa storica degli anni settanta – ma anche consapevole delle difficoltà da superare. Ottenere la fiducia del paziente, agire in modo professionale e gestire l’emotività di fronte alla sofferenza altrui non sarà semplice. Ma sono convinta della scelta che ho fatto, questo mestiere mi renderà una persona migliore, ne sono certa”.

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