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Via Borgovico, il Granducato dove le insegne narrano un popolo. Che merita di più

Percorrere in una mattina di primavera via Borgovico vecchia è come aprire un caro libro di storia che tutti riconoscono come prezioso ma alla fine pochi sfogliano davvero. E pensare che di pagine memorabili, in quella strada appoggiata sui sanpietrini granata, ce ne sono davvero tante scritte. Basterebbe quell’insegna “G.Riccadonna-Arrotino Ferramenta” sfuggita per caso all’Italia in bianco e nero per far innamorare. E non è semplice scampare alla nostalgia nemmeno se vedi il liberty-ma-non troppo del “Carlo Ferrario Impresa Vetture Trasporti” che, aggraziato ma sdegnoso, lassù affianca il muso tronco del fu ponte della Ferrovia, destinazione lungolago. Roba che nemmeno Blade Runner, ai tempi.

Ma della bellezza di questi angoli minimi è fin troppo facile parlare (il locale bistrot dei Figli dei Fiori è brutto, per caso? L’ex Chiesa di Santa Caterina, oggi sede espositiva, piace poco magari?).

Il tema vero – ed è un tema che lanciamo forte da qui verso i cuori di chi sta nei palazzi che contano – è un altro. Forse ancora inesplorato o non esplorato del tutto.
Quel tema è lo straordinario senso di appartenenza del popolo che anima – o che è nell’anima – di via Borgovico vecchia (ma “antica” sarebbe più bello ancora). Basta far caso a quante attività – tra un fiore e una decorazione – rivendicano con discrezione ma con forza le radici nella storia.

“Borgovico 33”, “Trattoria in Borgovico”, “Birrivico”, “Hotel Borgovico”, “Laura Nuova Immagine del Borgo”, “Sartoria del Borgo”, “Locanda del Borgo”: così si chiamano i locali che si guardano da un lato all’altro della strada, specchiati con qualche vanità nelle vetrine di fronte. Così si autoproclama un piccolo popolo. Emanano un senso di appartenenza quei nomi e nomignoli. Sembrano dire: “Noi siamo un borgo, voi siete solo Como”. Chi potrebbe fare altrettanto in città?

Un piccolo Stato autonomo, dunque, bellissimo e seminascosto. Irresistibile con una spruzzata di decadenza artistica. Eppure, forse è ora che lo scrigno si apra. Che quel piccolo mondo antico goda di una sorta di marchio a Doc per comunicare al mondo l’unicità. Sarebbe ora, in fin dei conti, che il popolo capace di tenere in vita e rilanciare un tale angolo di bellezza – per giunta fuori dalle tradotte per turisti – avesse una bandiera tutta sua. Un riconoscimento. Una medaglia fatta di attenzione e valorizzazione.

Che dite – chessò, a Palazzo Cernezzi – non è ora di per aprire al mondo il “Granducato di via Borgovico” e dargli quindi una lustrata, un sostegno e soprattutto qualche idea vincente?

Per contributi, idee, proposte redazionecomozero@gmail.com

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