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Via del Dos, 10 mesi di rabbia: “Diteci quando riaprirà. I lavori tanto sbandierati previsti dal 2015”. Pullici (Thais): “Dire disabili contenti, eccessivo”

A distanza ormai di quasi dieci mesi dalla chiusura delle micropiscine di via del Dos, punto di riferimento per centinaia di persone fragili e con disabilità, la Cooperativa Sociale Colisseum, che per decenni ha gestito il centro, torna a farsi sentire con un lungo video su Facebook. Ne abbiamo parlato pochi giorni fa anche su ComoZero Settimanale del 9 giugno.

L’intento è chiaro. Sapere quando riaprirà via del Dos e quando saranno fatti i lavori necessari. “E’ un bene pubblico, quando la cittadinanza potrà tornare a usufruirne? Noi ormai siamo fuori ma come tutti vogliamo sapere cosa ne sarà”, è la domanda che il presidente di Colisseum Gabriele Romanò, insieme al vice Franco Campanella rilanciano al sindaco. “Vogliamo chiarezza e fare il punto della situazione anche perché il sindaco Rapinese in un recente appuntamento televisivo con Etg+Sindaco ha detto come si stia lavorando in via del Dos e come i disabili che si sono dovuti trasferire in altre location siano soddisfatti e non si lamentino. Ecco allora abbiamo sentito il bisogno di dire la nostra”, spiega Campanella.

E la partenza riguarda i recenti lavori eseguiti proprio in via del Dos. “La tanto sbandierata sostituzione, avvenuta di recente, della centrale termica che serve sia la palazzina dove ci sono le piscine che quella attigua, non può essere fatta passare dal Comune come un atto nella direzione di una possibile riapertura. Quei lavori erano previsti addirittura dal 2015. Sono intervenuti solo perché nell’altra palazzina ci sono attività e la centrale andava risistemata. Senza contare che ancora nulla si sa sul bando europeo per i lavori prima sospeso e poi ritirato definitivamente”. Sul fronte invece della situazione dei disabili che il sindaco Rapinese promise di sistemare in strutture alternative anche a costo di “andarli a prendere in elicottero e accompagnarli personalmente”, è intervenuta Pia Pullici presidente di Thais che per decenni ha usato la struttura di via del Dos. “Prima della chiusura erano circa 60 i miei ragazzi. Ebbene solo in 2 sono andati a Simpatia e due a Eracle a San Fermo. Gli altri, non tutti, godono di solo un’ora a Cantù dove, grazie a Colisseum, abbiamo trovato degli spazi. Dire che tutti hanno trovato un posto e sono contenti mi sembra eccessivo. AI tempo avevamo detto che le soluzioni trovate non andavano bene per diversi motivi tecnici ma assessore e dirigenti hanno scelto indipendentemente. Senza contare che in via del Dos i costi per i ragazzi erano bassissimi. Io da 1986 andavo in via del Dos. E’ un enorme dispiacere”, dice Pia Pullici.

L’articolo uscito su ComoZero Settimanale il 9 giugno

Puntuale come ogni mesiversario che si rispetti, anche se in questo caso purtroppo non è per una ricorrenza felice, Franco Campanella, vicepresidente della Cooperativa sociale Colisseum, su Facebook, nei giorni scorsi ricordava come siano ormai passati 10 mesi dalla chiusura delle micropiscine di via del Dos, punto di riferimento per centinaia di persone fragili e con disabilità. Una chiusura che il neo sindaco Alessandro Rapinese aveva indicato – per interventi da fare e per la scadenza della concessione a Colisseum – come inevitabile, promettendo di collocare tutti i soggetti disabili in strutture alternative anche a costo di “andarli a prendere in elicottero e accompagnarli personalmente”.

Ma, sé è vero che una parte di loro ha trovato sistemazione, si tratta però di collocazioni provvisorie, con meno ore settimanali a disposizione e non nelle stesse condizioni di efficienza di via del Dos. A raccontare lo stato dell’arte – a luglio sarà passato un anno da quando venivano riconsegnate le chiavi dell’impianto al Comune – interviene il presidente della Cooperativa sociale Colisseum, Gabriele Romanò che, insieme al vice Campanella, tiene subito a precisare un nuovo aspetto della vicenda: “La tanto sbandierata sostituzione, avvenuta di recente, della centrale termica che serve sia la palazzina dove ci sono le piscine che quella attigua, non può essere fatta passare dal Comune come un atto nella direzione di una possibile riapertura. Quei lavori erano previsti addirittura dal 2015. Farli passare come un intervento conseguente a una decisione di voler riaprire è solo uno specchietto per le allodole. Sono intervenuti solo perché nell’altra palazzina ci sono attività e la centrale andava risistemata. I documenti che descrivono i lavori, danno i tempi e i costi sono del 2015. Anzi mi domando, visto che sono passati otto anni, quanto sia magari lievitato il costo di tale operazione”.

Fatto che non nasconde “la realtà costituita da una sola certezza: la chiusura. E il timore che la struttura possa sempre più deteriorarsi. Dopo essere entrati un’ultima volta a inizio 2023 per recuperare del materiale – dice Campanella – si starà inevitabilmente deteriorando. Noi facevamo manutenzione quotidiana. Non oso pensare come possa finire la struttura. Penso banalmente alla pulizia dei canali del tetto. Se non viene eseguita si allaga tutto”. Nelle parole dei due intervistati c’è ovviamente molta amarezza e delusione. E con il pensiero non si può non tornare al “bando (per l’affidamento della nuova gestione) che noi – dice Romanò – avevamo impugnato all’Anac e che è stato definitivamente ritirato. E noi, al bando che dovrebbe emettere il Comune, vogliamo partecipare. Ma a oggi tutto è silente”. Ma, aspetti tecnici a parte, seppur decisivi, ciò che riemerge, come detto più volte anche in passato, è che la chiusura delle piscine ha avuto l’effetto devastante di polverizzare l’utenza.

“Ciò che non è stato capito è che quello era diventato un luogo di incontri sociali soprattutto per soggetti più fragili, non solo di erogazione di servizi. La piscina era frequentata da circa 150 persone che fruivano di servizi riabilitativi di natura ortopedica, seguiti da fisioterapisti, da un centinaio di persone con disabilità che avevano lì un luogo di ritrovo, dove coltivavano amicizie e scambiavano informazioni. Un posto dove oltre a curare gli aspetti di tipo sanitario si curavano gli aspetti di natura sociale”, ribadisce il presidente di Colisseum. Ora, come detto, alcuni dei soggetti fragili sono andati altrove ma oltre a essersi perso quel senso di comunità, i servizi e il tempo a disposizione, non per colpa delle strutture individuate, ma per le particolari necessità dei soggetti, non sempre possono essere garantite. “E c’è chi ovviamente ci chiama (Colisseum è molto operativa a Cantù) per domandarci ore e spazi. Cosi come è accaduto, ad esempio, con i ragazzi di Thais che però se in via del Dos avevano tre pomeriggi a settimana, qui invece per motivi organizzativi possono usare la piscina una sola volta a settimana”, dice Romanò. “Purtroppo il futuro non promette bene, ne siamo consapevoli – conclude il presidente – Noi ci siamo sempre mossi per il bene della collettività e speriamo che il Comune non faccia deteriorare la struttura. Fermo restando la nostra piena volontà, se si presenterà l’opportunità, di andare in gara”.

L’ARTICOLO CHE HAI APPENA LETTO E’ USCITO SU COMOZERO SETTIMANALE: ECCO DOVE PUOI TROVARLO

 

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