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Villa Erba, il dado è tratto. Arcioni: “Spiace per il Comune di Como, ma la rivoluzione si fa”

“Cara Como, mi spiace ma vado avanti”.

Il presidente di Villa Erba, Filippo Arcioni, mostra un’invidiabile serenità nel commentare gli ultimi eventi legati al futuro del polo cernobbiese. Il più recente è noto e ha fatto scalpore: il Comune capoluogo, socio al 7% e rotti di Villa Erba, non voterà nell’immediato la modifica allo statuto della società che dovrebbe aprire le porte a un nuovo socio industriale.

Un passaggio che avrebbe un effetto a suo modo storico: far scendere la compagine pubblica (formata da Palazzo Cernezzi, dal Comune di Cernobbio, dalla Camera di Commercio e dalla Provincia) sotto la fatidica soglia del 50% delle azioni. E quindi far salire i privati sopra la stessa soglia, con contestuale presa del controllo e della maggioranza previa robusta iniezione di capitali.

Cernobbio polo espositivo di Villa Erba Ph© Carlo Pozzoni FotoEditore

Ufficialmente la cancellazione del tema Villa Erba dai prossimi ordini del giorno del consiglio comunale del capoluogo è spiegata con quella tempesta perfetta chiamata Ticosa. Nella realtà – sebbene ufficiosamente – il timore che la delibera possa scatenare l’ennesima guerra interna alla maggioranza dalle parti di Palazzo Cernezzi è concreto. E dopo il disastro sulla delibera appalti e le fibrillazioni sul destino dell’ex tintostamperia, nessuno vuole altri scossoni prima della pausa estiva (d’altronde, la contrarietà di Fratelli d’Italia all’operazione Villa Erba, così come congegnata, è notoria).

“Mi spiace che il Comune di Como non si esprima su questo passaggio – dice Arcioni – Capisco che un tema come la Ticosa possa avere avuto la priorità su Villa Erba, ma a questo punto me ne farò una ragione. L’assemblea dei soci, già fissata per il 26 luglio prossimo, si terrà comunque. La Camera di Commercio e la Provincia hanno già approvato la modifica dello statuto, credo che la stessa cosa farà il Comune di Cernobbio a brevissimo. I presupposti perché l’assemblea si tenga anche senza il voto consiliare di Palazzo Cernezzi ci sono tutti”.

Tradotto: con ogni probabilità – al netto di colpi di scena in una vicenda che ne ha già visti molti – l’assemblea dei soci di Villa Erba (i già citati pubblici, più i privati che assommano oltre il 46%) si svolgerà. E approverà comunque con una maggioranza superiore ai due terzi la rivoluzione per il futuro del polo.

“Se avessimo avuto l’ok dal 100% dei soci sarebbe stato meglio, non c’è dubbio – sottolinea Arcioni – Ma se anche il via libera arrivasse dal 97%, andrà bene ugualmente. Il processo ormai è arrivato a un punto fondamentale, definito e largamente condiviso in ogni singolo aspetto. Devo dire, tra l’altro, che il Comune di Como, al di là di quanto accaduto nelle ultime ore, nelle scorse settimane ha seguito passo passo ogni aspetto, ogni passaggio, per arrivare al nuovo statuto. L’apporto garantito da Palazzo Cernezzi è stato importantissimo, è mancato soltanto il voto del consiglio”.

“Però – aggiunge il presidente di Villa Erba – stiamo parlando di una società per azioni e a questo punto mi sento sereno e tranquillo, moralmente ed eticamente, rispetto alla necessità di proporre comunque ai soci il lavoro fatto. Sento di dover portare avanti questo processo che potrà davvero rilanciare Villa Erba e mettere fine a un periodo turbolento durante il quale si è vivacchiato senza una direzione precisa. Cosa che, senza le modifiche, continuerebbe ad accadere”.

La sensazione che un’approvazione da parte dei soci, giovedì prossimo, senza il Comune di Como, possa comunque apparire come una forzatura, aleggia. Ma Arcioni smentisce: “No, non sarebbe una forzatura. Con l’apporto di tutti, e in particolare dei soci pubblici, ogni questione è stata condivisa e limata nel dettaglio. Ripeto, mi sento tranquillo. Giovedì vedremo cosa accadrà”.

Si compirà la rivoluzione storica per Villa Erba, probabilmente. Con o senza il capoluogo, ancora una volta ai margini di decisioni capitali per il futuro del territorio.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Un commento

  1. Ma che rivoluzione. I beni pubblici debbono rimanere tali: appartengono alla collettività dei cittadini. La buona gestione del bene è il risultato della efficiente amministrazione, non certo e necessariamente del suo controllo (sempre propagandato come munifico e provvidenziale) da parte della “mano privata”.
    Prossime consultazioni elettorali Pd, Fi e liste civiche affini tramonteranno definitivamente, con buona pace di chi ancora crede di vivere nel passato.

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