“C’è qualcosa di potente nella fotografia. Abbatte i muri e informa, svela angoli bui, sveglia la curiosità verso il non considerato catturando milioni di parole in un istante”.
Le fotografie di Mattia Marzorati, 26enne di Cantù, spingono silenziosi interlocutori a porsi delle domande, tante. Scatti d’autore di un viaggiatore che accarezza la vita altrui, inseguendo una passione scoppiata nel 2015 mentre prestava servizio civile in Perù.
“Collaboravo come assistente sociale – ricorda – e lì ho sentito il desiderio di raccontare l’esperienza che stavo vivendo attraverso le immagini. Mi avevano regalato da poco una Reflex Nikon e ho iniziato a sperimentare”.
L’esperienza coinvolge Mattia al punto da spingerlo a iscriversi, nel 2016, a La Ampliadora, scuola di fotografia di Granada in Spagna. Per pagarsi gli studi lavora come Pr e in un locale incontra Luis de Luis e Ester Marin, una coppia di ballerini di flamenco.
“Rimasi affascinato dalla loro arte – racconta – che si sposava con due personalità magnetiche. Decisi di immortalare la loro vita e venne alla luce il mio primo reportage”. Famiglia di ballerini di flamenco viene pubblicato sul sito National Geographic Italia e sul settimanale svizzero Il caffè.
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“I primi passi nel regno della fotografia – continua – mi avevano fatto capire quanto fosse potente. Uno straordinario strumento per mettere in luce le problematiche sociali”.
Mattia capisce che quel regno gli appartiene e si trasferisce, nel 2017, a Madrid per studiare all’Efti, Centro internazionale di fotografia e cinema. Nello stesso anno entra a far parte del collettivo fotografico Yama Photos e inizia a progettare altri reportage.
“La curiosità è la molla – prosegue – se qualcosa mi sembra inedito o singolare allora penso valga la pena di essere approfondito. Se cattura la mia attenzione può interessare anche gli altri”.
Nei mesi successivi realizza Hogar social, un reportage su un gruppo neofascista spagnolo, pubblicato su Il caffè, dopodiché, insieme al collega Filippo Taddei, vola in Iran per raccontarne l’anima femminile e le storie dei rifugiati afghani di Teheran. Da quell’esperienza nascono un documentario, attualmente in lavorazione, e il reportage fotografico Le donne di Teheran, pubblicato sempre su National Geographic Italia.
“La scelta dei reportage dipende anche dal budget – sottolinea – la precarietà è alta, soprattutto agli esordi”.
Nel 2018 Mattia decide di immortalare un aspetto specifico del Libano.
“Volevo raccontare le problematiche psicologiche dei rifugiati siriani – spiega – svelare attraverso la fotografia un aspetto che aveva colpito la mia sensibilità, poco trattato dai media”. La salute mentale dei rifugiati in Libano è un lavoro intenso e Mattia, ancora una volta, conquista il sito di National Geographic Italia. “Un risultato che mi rende felice – ammette con un sorriso – ma non mi monto la testa, la strada è lunga”.
Nel 2018 realizza un reportage sulle case popolari di Zingonia, in provincia di Bergamo, mentre nel 2019 raggiunge la Bulgaria per il reportage 1989-2019: la Bulgaria a trent’anni dalla fine del Comunismo presentato su Rai 3 a Tg nel Mondo, e l’Uganda per un progetto fotografico sulle vittime delle mine.
“Il mio lavoro prevede un periodo di studio – conclude – che condivido con Silvia Mascheroni, esperta in comunicazione e cooperazione Internazionale. Collaboro spesso con diverse Ong, il loro supporto è fondamentale. Poi c’è lo scatto che è velocità, istinto e rispetto per l’intimità altrui”.