RADIO COMOZERO

Ascolta la radio
con un click!

Cultura e Spettacolo

Stanze di Cinema e il nuovo Muccino, direbbe Gassman: “Un grande avvenire dietro le spalle”

‘Un grande avvenire dietro le spalle’
Vittorio Gassman, 1989

C’è stato un tempo in cui si attendeva il nuovo film di Gabriele Muccino con l’interesse e la trepidazione riservata a chi è capace di raccontare la realtà italiana, cogliendone tutte le incertezze, i dolori, le ansie, i desideri. Poi quel tempo è passato inesorabilmente. A casa tutti bene sembra tuttavia aver rinnovato quell’affinità elettiva tra il regista ed il suo pubblico.
Bisognerebbe partire dal manifesto, per parlare del nuovo film di Gabriele Muccino.

Trailer

 

Sì, proprio dal manifesto. Un selfie di gruppo, con molti dei migliori attori italiani, che si offrono sorridenti all’obbiettivo, ma alle loro spalle si addensano nuvole nere.
La locandina ci dice infatti già molte cose. Innanzitutto che Gabriele Muccino è tornato a lavorare nel nostro Paese, dopo una lunga e irrisolta parentesi americana e che questo suo nuovo film è un ritorno alle grandi narrazioni corali e familiari, che l’hanno reso famoso in passato.


Poi ci dice che il regista romano non ha perso la capacità di intercettare il suo tempo e il suo spirito: la ricerca della felicità è un’illusione per tutti, la tempesta è incombente, ma in fondo c’è ancora tempo per una foto scema.
Il cinema di Muccino è sempre stato così: melò familiari pieni di rimorsi, rimpianti, urla, lacrime, canzoni e la sua straordinaria capacità di raccontare per immagini le linee di frattura personali e generazionali, restando tuttavia troppo spesso in superficie, evitando di affondare il coltello, fermandosi sempre un passo prima di dover fare veramente i conti con le proprie inadeguatezze, le proprie ipocrisie, i propri limiti, le proprie scelte.

Se Muccino è stato infatti bravissimo a porgere uno specchio alla natura umana, lo è stato un po’ meno nel trasformare quella miracolosa capacità di messa in scena, in un racconto coerente, significativo.

Probabilmente questo è dovuto anche al fatto che i protagonisti sono sempre stati suoi coetanei, simili per estrazione sociale e culturale.
Ma non è solo l’affetto o l’empatia nei confronti dei suoi personaggi, quanto forse più radicalmente una mancanza di coraggio e di cattiveria, che lo hanno sempre portato in passato verso l’auto-assoluzione.
Era così per i due film d’esordio adolescenziali, Ecco fatto e Come te nessuno mai, per lo struggente L’ultimo bacio e poi per il suo sequel dieci anni dopo, Baciami ancora. Ma lo stesso vale anche per la sbandata del quarantenne di Ricordati di me.
Non è un caso se anche il nome di quelle famiglie, così centrali nei sui film, sia sempre lo stesso, ovvero Ristuccia. Un nome che ritorna, ovviamente, anche in A casa tutti bene.

Il film comincia in auto: due fratelli, Paolo e Carlo, si avviano al traghetto che li porterà ad Ischia, dove i genitori e la sorella Sara attendono tutta la famiglia, per festeggiare i cinquant’anni di matrimonio. La primissima battuta di Paolo dà un tono a tutto il film: “Dicono che la famiglia sia il nostro punto di partenza, poi di fuga e alla fine diventi quello di ritorno”.
Sul molo si affrettano gli altri parenti: mogli, compagne, nipoti, cugine, zie, ognuno con il suo passato e le sue aspettative.
I Ristuccia hanno fatto i soldi con un ristorante, dove ancora Sara e Carlo lavorano, mentre Paolo ha seguito la sua vena artistica, scrivendo libri e viaggiando per il mondo, abbandonando però una moglie ed un figlio, che non vede da tempo.


Ciascuno degli ospiti porta con sè un carico di fallimenti: Sara deve fare i conti con le infedeltà del marito, Carlo è diviso tra due mogli e due figlie e vorrebbe solo un po’ di serenità. Lo zio Sandro è malato di Alzheimer e sta perdendo pian piano le coordinate con il suo mondo. Il fratello Riccardino è la pecora nera di famiglia, ma ora sta per avere un figlio e vorrebbe poter tornare a lavorare al ristorante, per dare stabilità alla sua famiglia.
E poi c’è Isabella, che ha un marito sempre lontano e una figlia al seguito, che ritorna sull’isola con il ricordo di un bacio di molti anni prima.
Dopo la cerimonia e il pranzo, il mare si fa più grosso, i traghetti non ripartono e tutti sono costretti a restare due giorni a Ischia.
Saranno due giorni di litigi, accuse, scenate, pianti, fughe. La serenità apparente si trasforma pian piano in un carnevale triste, in cui le tensioni nascoste esplodono tutte assieme, forse proprio a causa della convivenza forzata.

Mai come questa volta, Muccino si spinge avanti nel suo racconto familiare. Il suo è quasi un funerale alle ipocrisie della convivenza borghese. Non si salva davvero nessuno. Neppure i due anziani capofamiglia

E non è solo il denaro a far emergere la natura meschina e fallace dei caratteri, ma sono proprio l’inadeguatezza, la codardia, l’isteria dei personaggi, a segnare inesorabilmente il contesto.
Pur guardando ai modelli più nobili della nostra tradizione cinematografica, il film sembra allontanarsi da loro: la borghesia è cambiata profondamente, non c’è più l’eco del boom economico, non c’è la politica, non ci sono neppure la tv, il berlusconismo e l’anti-berlusconismo, che pure erano così centrali non solo in Ferie d’agosto di Virzì, ma anche in Ricordati di me dello stesso Muccino.


In A casa tutti bene si vive la precarietà dei tempi, che non è solo economica, ma soprattutto personale. Una grande confusione, in cui le illusioni di benessere si mostrano per quello che sono veramente e poggiano tutte sul lavoro dei padri, su una ricchezza vecchia, ereditata, più che creata

Certo non tutto funziona nel film di Muccino, i personaggi soffrono talvolta di una programmaticità troppo evidente, lo sviluppo drammaturgico è prevedibile e risaputo, con le solite liti, le solite canzoni, i soliti pianti disperati.
Eppure mai come questa volta il film è davvero sgradevole, respingente quasi, proprio perchè non si salva nessuno, se non forse i due adolescenti: per il loro il tempo della vita è quello dell’innocenza, delle promesse, delle possibilità. Mentre per gli altri è già quello dei bilanci.

A casa tutti bene segna il ritorno al cinema dopo quattro anni del maestro Nicola Piovani, che regala a Muccino una colonna sonora prodigiosa, che si occupa di stendere un filo rosso tra tutte le storie, tutti i caratteri, con una malinconia struggente, mai consolatoria.
Persino nell’uso delle canzoni, Muccino concede pochissimo al suo pubblico: basterebbe la scena a letto tra Sara e il marito, con la zuccherosa A te di Jovanotti suonata da un telefonino, che viene usata in modo antifrastico, proprio per segnare il più basso della relazione tra i due.
Nel costruire un racconto così desolante dei nostri tempi e delle nostre famiglie, Muccino naturalmente si espone alle critiche, agli attacchi. Riconoscersi nei Ristuccia è difficile, scomodo. Più facile prendere le distanze, allontanarsi dallo specchio, che questa volta il regista ha rivolto verso di noi.
Ma sarebbe un errore, perchè pur con i suoi eccessi e le sue cadute, A casa tutti bene è film che racconta un fallimento vero, un malessere che cova e che non abbiamo il coraggio di ammettere.
In sala per 01 distribution dal 14 febbraio.

A CASA TUTTI BENE
REGIA: Gabriele Muccino
ATTORI: Pierfrancesco Favino, Stefano Accorsi, Sabrina Impacciatore, Stefania Sandrelli, Massimo Ghini, Carolina Crescentini, Claudia Gerini, Gianmarco Tognazzi, Giampaolo Morelli, Valeria Solarino.
Produzione: Italia, 2017
Durata: 105 minuti

© RIPRODUZIONE RISERVATA
TAG ARTICOLO:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Potrebbe interessarti:

Videolab
Turismo