A 8 km da Como – o se si vuole a meno di 15 minuti dal confine – in Canton Ticino c’è la fabbrica dell’oro. Lo rivela oggi il Corriere della Sera, parlando dell’azienda Argor-Heraeus, che fonde e forgia lingotti d’oro puro al 99,99%. Ovvero il bene che, in qesti tempi di guerre e incertezze finanziarie, appare quasi come il forziere dei sogni di Paperon de’ Paperoni.
Al Corriere, il suo co-amministratore delegato, Robin Kolvenbach, spiega infatti che negli ultimi tempi l’azienda è stata raggiunta da una marea di ordini: “Argor-Heraeus ha avuto una domanda significativa di fusione e trasformazione di oro da lingotti da 400 once in lingotti da un chilo. È iniziata nei primi giorni di dicembre”.
Una tale impennata delle richieste che la fabbrica che è passata a turni di ventiquattro ore eppure non è ancora riuscita a smaltire le richieste dell’inverno scorso, quando il mondo aspettava il ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump.
Ma da cosa nasce questa corsa all’oro ticinese a pochi passi dal Lago di Como dei vip?
“L’esigenza di trasformare le barre di metallo giallo da parallelepipedi da 400 once l’uno (11,34 chili) a barre da un chilo deriva dalla diversità negli standard nel mercato europeo e negli Stati Uniti – spiega Federico Fubini sul quotidiano di via Solferino – Da questa parte dell’Atlantico la custodia dell’oro fisico si fa in lingotti classici, simili a mattoni gialli, del formato usato nelle riserve sotterranee di Banca d’Italia in via Nazionale a Roma o in quelle della Bank of England a Threadneedle Street a Londra. La piattaforma di mercato Comex di New York invece accetta barre da un chilo, di undici centimetri per cinque di lato e alte poco meno di un centimetro”.
E dunque ecco che la grandissima domanda giunta alla Argor-Heraeus di Mendrisio deriva da questa discrepanza: “Molte istituzioni finanziarie avevano fretta di spostare oro dall’Europa agli Stati Uniti e venderlo al Comex, prima che Trump lasciasse la sua impronta. Ora il numero di nuove richieste è calato ma Kolvenbach riconosce: Stiamo ancora producendo per gli ordinativi partiti a inizio dicembre. I tempi di consegna delle barre da un chilo si sono allungati di un bel po’”.
Naturalmente, molla primigenia è stato il timore dei dazi, con la paura che le nuove tariffe potessero colpire anche l’esportazione di oro fisico dal resto del mondo agli Stati Uniti. “Il prezzo dell’oro fisico al Comex di New York è salito sopra a quello del London Metal Exchange, proprio per integrare il rischio di un costo maggiore in America a causa dei dazi. Di colpo dunque grandi gestori privati d’oro hanno comprato e prelevato riserve, per lo più custodite alla Bank of England, per venderle a New York e approfittare della differenza. Ma per accedere al Comex avevano bisogno di barrette, non di lingotti, quindi hanno travolto la Argor-Heraeus di Mendrisio di richieste”, è la spiegazione.