L’impatto sanitario del Coronavirus è naturalmente prioritario ed è il cardine su cui ruota oggi la macchina pubblica. Ma le conseguenze legate alla diffusione cominciano a far gemmare timori, quando non allarmi, anche sul fronte economico. Di turismo comasco, tra alberghiero e non alberghiero, abbiamo parlato di recente.
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Segnali di difficoltà, oggettivi e numeri alla mano, si registrano anche nel comparto tessile del lusso, specifico tutto comasco.
“La Cina svolge due funzioni per questo territorio – spiega Sandro Estelli, segretario generale della Filctem Cgil di Como – è sia fornitore che acquirente del mercato del lusso, un segmento florido e importante per la nostra economia”.
Sul fronte delle forniture la situazione è ancora contenuta perché “in vista del capodanno cinese le aziende hanno fatto scorta e il greggio c’è”. Il problema si pone sull’altro fronte: “La cina non acquista, mancano i consumi, la gente non esce di casa e le aziende comasche ne risentono, d’altronde molti negozi e molte catene internazionali hanno chiuso “, evidenzia Estelli.
I dati sono oggettivi. Come racconta Businessinsider: ”
Il 5 febbraio, a lanciare ufficialmente l’allarme coronavirus, è stata Capri Holdings, la finanziaria statunitense quotata a Wall Street cui fanno capo i marchi Versace, Michael Kors e Jimmy Choo, che stima di perdere 100 milioni di dollari, in termini di mancati ricavi, dal coronavirus. Più nel dettaglio, la società ha fatto sapere che al 5 febbraio 2020 circa 150 dei 225 negozi in Cina sono chiusi. In più, gran parte dei punti vendita rimasti aperti operano a orario ridotto e stanno riscontrando “riduzioni significative nel flusso di clienti”.
Di analogo tenore le dichiarazioni del colosso britannico del lusso Burberry, quotato a Londra, che il 7 febbraio ha fatto sapere che “al momento 24 dei nostri 64 negozi in Cina sono chiusi mentre i restanti punti vendita operano a orario ridotti e stanno assistendo a significativi cali dell’afflusso di clienti. Questo sta avendo un impatto sulle vendite al dettaglio sia in Cina sia a Hong Kong.
E i numeri sono preoccupanti. “Se entro il primo trimestre, cioè fine marzo, l’emergenza rientrerà avremo comunque una perdita importante, cioè tra il 5 e il 10% rispetto al 2019, se il problema continuerà, entro il semestre arriveremo a una cifra stimata tra il 10 e il 20%. Bisogna capire che il mercato non è on-off, se uno smette di spendere poi non ricomincia compensando quanto non acquistato fino a quel momento, le ripartenze sono lente”.
“Al momento non è catastrofe ma la preoccupazione è alta. Tante aziende presumono di perdere fatturato” evidenzia Estelli.
C’è poi il problema della spesa dei turisti cinesi in italia che, si stima, abbiano una disponibilità giornaliera sul fronte del lusso (cioè, in primis, gli accessori, punta di diamante della produzione comasca) di circa 3-400 euro pro capite. “Anche in questo senso registriamo contrazioni”.
Altro punto il lavoro. Ci saranno conseguenze? “Al momento non c’è tensione – evidenzia il sindacalista – alcune aziende mettono a magazzino le produzioni e anticipano i lavori. Qualche problema c’è sui medio piccoli, alcuni chiedono la cassa integrazione ma per un numero, devo dire, non elevato di ore. Questo fenomeno specifico però non è legato al Coronavirus ma a una contrazione che riscontriamo già da dicembre scorso”.