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Il virus, le lacrime dei dipendenti, lo spettro cinese. Tessuto-Brenna: “Il tessile non sarà come prima”

La sua intervista qualche sera fa a La7 aveva fatto tremare i polsi a molti comaschi. Perché che sarà dura lo sappiamo tutti, ma quando a dirtelo a chiare lettere e con la voce rotta è Alessandro Tessuto, presidente di una delle più importanti aziende seriche comasche, la Clerici Tessuto, allora tutto diventa più nero.

“Questo settore a Como conta 20mila addetti per un fatturato di un paio di miliardi di euro. Finito il covid e finita la cassa integrazione rischiamo di perdere almeno il 20% della forza lavoro, che è socialmente drammatico – erano state le sue parole – si andrà incontro inevitabilmente a una strage”

VIDEO “Si rischia il disastro sociale”. Il drammatico servizio di La7 sulla crisi del tessile comasco

“Il giorno dopo la messa in onda di quel servizio ho incontrato per strada una mia operaia – racconta Tessuto che abbiamo contattato per commentare quell’intervista – si è messa a piangere e mi ha chiesto, quando arriverà il momento di valutare eventuali licenziamenti, di mettermi una mano sul cuore”.

A rischio i dipendenti più vicini alla pensione, i consulenti e chi ha una situazione familiare su cui un licenziamento avrebbe ripercussioni meno drammatiche. Ma non sono numeri: sono volti e vite verso i quali un imprenditore sente di avere enormi responsabilità: “Spero davvero di non dover prendere decisioni di questo tipo, non se lo meritano, ma siamo messi malissimo, non li reggiamo altri 12 mesi così – sono le parole di Tessuto – inoltre se si lascia a casa chi ha più anzianità, si perdono competenze e professionalità indispensabili quando finalmente si tornerà a vedere la luce. Ma quali sono le alternative?”.

Negozi aperti ma vuoti e brand di lusso, il settore per cui lavora principalmente il distretto serico comasco, in crisi non preannunciano nulla di buono, secondo il presidente della Clerici Tessuto: “Senza eventi e occasioni per uscire che motivo c’è di comprarsi un abito elegante? Il lusso è scomparso, quello che si vende ora sono jeans, magliette e giubbotti fatti in Cina – conclude – Como è un mondo artigianale e non sarà facile adattarlo alle nuove richieste trasformando rapidamente la produzione verso prodotti più giovani e tecnici”.

“La moda resterà questa? Se lo sapessi sarei già andato avanti ad aspettare gli altri – gli fa eco Gianluca Brenna, amministratore delegato della storica Stamperia di Lipomo – dopo la Prima Guerra Mondiale abbiamo dimenticato stecche di balena e crinoline ed è arrivata Coco Chanel. Qualcosa cambierà, Zoom e lo smartworking avranno sicuramente un’influenza sulla moda. Non so se questa è una cosa positiva o negativa ma bisognerà farci i conti”.

Necessità di riorganizzarsi ma anche grande preoccupazione per l’immediato futuro dopo un anno già durissimo: “Dopo il primo lockdown ci eravamo illusi, eravamo ripartiti convinti che il peggio fosse passato e invece ci siamo ritrovati di nuovo in una situazione di incertezza – spiega – Tessuto ha fotografato perfettamente la situazione: i negozi non lavorano, il nostro settore ha perso mediamente il 35-40% di fatturato e si fa fatica a immaginare la ripresa. Possiamo solo sperare che venga fatta una selezione di settori per i quali mantenere la cassa Covid in modo da non perdere risorse preziose che possono aiutare nella ripresa”.

“Da operatore economico mi trovo tra l’incudine e il martello ma se il solo modo per bloccare i contagi è fermarsi non vedo alternative: il rispetto per la vita è al primo posto – conclude – spero però che la campagna vaccinale possa ridare fiducia alle persone e ai mercati”.

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