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Il turismo è vivo, viva il turismo. Ma l’inglese proprio non ci piace: tra posteggi e sanità

Diecimila studi, centomila dati e i mal di pancia (in genere il sabato pomeriggio) dei residenti del centro storico meno avvezzi al cosmopolitismo certificano: il petrolio comasco (ci scusi il baco da seta che, comunque, non se la cava male), è noto, sono i viandanti. Non male per un’industria – generale – che fino a qualche anno fa sognava ancora la propria identità dopo i fasti del secolo scorso. Il punto è che quell’identità ormai c’è. Ma è ancora in cerca d’autore (di visione) o almeno di servizi adeguati al rapporto domanda/offerta.
Como e il lago sono, come si dice con gusto un po’ retrò, “meta privilegiata” del turismo. Un tempo milanese, poi europeo, quindi occidentale e ora mondiale.
Non a caso – al netto delle polemiche – negli ultimi quattro anni il numero di strutture ricettive (B&B, affittacamere e residenze) è esploso. Un dato su tutti – elaborato dalla Camera di Commercio su base Istat, PoliS Lombardia e Provincia di Como – tra il 2007 e il 2016 il turismo sul Lario è cresciuto del 23,6%.

Per gli amanti di dati, numeri e numeretti:
qui l’ampio studio presentato nei giorni scorsi

E’ un fatto: chiunque abbia un sottoscala libero cerca di farne un business. Così il quadrilatero della più profonda comaschitudine (Bernardino Luini-Indipendenza-Vittorio Emanuele- Piazza Duomo) è sostanzialmente saturo ogni fine settimana nelle stagioni fredde e tutte le settimane appena spunta uno spicchio di sole.

Eppure sembra che adattare una cultura a un bisogno sia cosa ancora complicata. Vengono in mente Totò e Peppino in piazza duomo a Milano con il ghisa: “Noio volevan savoir l’indiriss”.

Le strutture ricettive si sono adattate ai tempi: il personale tra ristoranti e alberghi ormai mastica minimo cinque lingue. Ma per il resto?

Se, per citare, “la piaga che più di tutte infama” Como è il traffico, i parcheggi non son da meno. Informare uno straniero in arrivo sulla politica della sosta è complicato. Prima di tutto bisogna spiegare che si paga: si paga e basta (salvo incursioni notturne in qualche oasi bianca lasciata occasionalmente libera da qualche residente). Ma questa è una scelta politica. Poi bisogna spiegare dove può lasciare la macchina per qualche giorno. Se vuole spendere e star comodo per il turista ci sono gli autosilos centrali, altrimenti, con un euro al giorno più autobus c’è il Valmulini.

Benissimo. Lo straniero si vuole organizzare e chiede, per tempo via mail, indicazioni. L’operatore locale stila una piccola guida di riferimenti sugli spazi-sosta cittadini:

Autosilo Valmulini: sito solo in italiano

Autosilo via Auguadri: sito solo in italiano

Parcheggi: sempre in italiano con una non chiarissima mappa Google che geomappa le zone della sosta. Da qui è possibile accedere alla voce:

Parcheggi a raso: dove valgono le stesse osservazioni

Contattata, la Como Servizi Urbani – gestore del servizio – conferma che non vi è una versione in inglese (il dubbio che ci fosse sfuggito qualche bottone con uno switch lo abbiamo avuto) e fa sapere che: “Non erano mai arrivate segnalazioni in questo senso ma è un buon suggerimento”.

Stesso discorso per l’Autosilo Valduce, gestito da Valduce Servizi Spa,  per il Parcheggio Centro Lago (ex Zoo) della Best in Parking – Holding AG e per l’Autosilo di via Castelnuovo, gestito da Spt Holding Spa.

Parcheggiare è un’esigenza di prima necessità, vero, ma di importanza vitale sono i servizi sanitari. Nessun sito propone una versione in inglese.

Ats Insubria (ex Asl)

Guardia Medica

Ospedale Sant’Anna

Nessuna parola in inglese significa nessuna indicizzazione – in inglese, appunto – nei motori di ricerca. Possiamo anche immaginare che, in caso di bisogno, il turista straniero non sia solo e possa contare sul supporto dei passanti, del luogo in cui alloggia, di un’anima pia. Resta che nell’anno 2018, in una città e un territorio che affermano a gran voce la propria identità turistica e il valore della Rete pare essere nel neolitico del Customer Service, quantomeno sotto alcuni, non pochi, fronti.

Andrea Camesasca dal suo profilo Facebook

“Siamo un vecchio Paese che diventa sempre più vecchio”, accusa Andrea Camesasca, membro della giunta della Camera di Commercio di Como, delega alla promozione del Lago di Como.

“Italiano, Russo o Francese sono lingue. L’inglese non è una lingua ma un dovere. Il tema non è solo tecnico, si tratta di empatia, di conoscenza dei bisogni e dei servizi. E’ arrogante e presuntuoso parlare solo la nostra lingua o al più attaccare adesivi in inglese maccheronico per correggere i cartelloni”. Il tema, dunque, è culturale: “Il lago di Como ha il 75% di turismo straniero – evidenzia Camesasca – e gli stranieri devono essere informati. In questo momento sono in autostrada, trovo maleducato che l’allerta per un autovelox e qualsiasi altra indicazione, siano solo in italiano. Il mondo è cambiato e bisognerebbe studiare inglese dai tre anni in tutte le scuole: io prenderei gli attuali modelli e programmi di istruzione e ne farei un falò”.

Insomma, è il Camesasca pensiero: “Siamo stati abituati per anni a un’economia locale e non avevamo bisogno del mondo esterno, oggi viviamo in un continuo interscambio sociale e culturale senza proporre servizi per gli stranieri. Basti pensare anche agli uffici pubblici, che certo non facilitano chi arriva da lontano”. Soluzioni? “Qualche anno fa con la piena collaborazione di Asf (gestore del trasporto pubblico nel territorio) proponemmo corsi di inglese per gli autisti anche in vista del Lake Como Express, servizio di collegamento con Orio al Serio”. E poi? “E poi il servizio non partì”.

A proposito di Asf, anche la flotta di bus comaschi non offre servizi in inglese mentre Navigazione, Funicolare, Trenord (treni e bus) e Visitcomo sono agilmente navigabili anche da chi abita oltre le dogane del BelPaese dando l’idea di una città e un territorio che puntano gli occhi dalle montagne della convalle.

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