Come usa dire, l’immagine, talora, offre più facoltà di comprensione della parola. Mai tanto vero, realistico. Raccontano bene una storia gli scatti clandestini arrivati a ComoZero.
Il punto più alto della democrazia comasca è un insieme di ponteggi, pali, sostegni, polvere e, più di ogni cosa, incognite. L’aula del Consiglio comunale chiusa dal 18 settembre per problemi strutturali resta congelata nel tempo, un presente continuo e ridondante, esattamente come il primo – o secondo o terzo – giorno di porta sbarrata.
L’immagine, appunto, racconta la decadenza di uno spazio. Senza ostentare un rispetto tabernacolare per l’Istituzione è comunque amarissima la sensazione che lo spazio dove la città decide, pronuncia, dibatte, scazza e risolve sia stato dimenticato.
L’aula consiliare, primo giorno di Mario Landriscina Sindaco: video per gentile concessione di EcoInformazioni:
E stavolta, davvero, la colpa non ha nome e cognome. Ha, al più un sostantivo femminino: burocrazia, il meccanismo partorito dall’uomo perché il dominio della procedura sovrasti quello del buon senso.
Controllo e ordine, anche questo è la burocrazia, ci sta in linea generale, abuso e furbetto son sempre dietro l’angolo. Eppure sembra che non sia possibile uscirne.
Molto onesto, davvero, l’assessore Vincenzo Bella (in questo caso delega alla Manutenzione dell’Edilizia Comunale): “Ci sono stati problemi con la prima azienda che avrebbe dovuto effettuare i lavori. Gli uffici non sono fermi ma il meccanismo è lento”. Tempi? “Difficile dirlo, lavoriamo è ovvio ma questo è il sistema”. A oggi non esiste un progetto.
Così il Consiglio Comunale resta nella, pure nobilissima, Sala Stemmi. Tutto bene, niente di grave, gli scandali sono altri. Ma riti, modi, tempi e luoghi dei cerimoniali hanno una ragione profonda: icordano la nobiltà di ogni azione, la sacralità – laicissima – dell’esercizio democratico.
E il Moloch Burocrazia, l’apparato mostruoso e complesso, non può permettersi di fagocitare il senso, anche simbolico, del consesso civile.