Sulla situazione politica nella città di Como, guardando in particolare alle prossime elezioni comunali del 2027 e agli ‘atavici’ problemi del centrosinistra (nelle ore in cui spunta il rumor sull’avvocato ed ex assessore della giunta Lucini Lorenzo Spallino), ospitiamo il punto di vista del collega Marco Corengia pubblicato originariamente sull’edizione cartacea di ComoZero del 4 luglio scorso.
Prima di perdersi in pronostici che molto spesso hanno il retrogusto inacidito di una mezza maledizione o di un regolamento di conti fra consanguinei, per ragionare su quello che potrebbe succedere alle amministrative del 2027 varrebbe la pena partire da un’analisi onesta dei numeri delle elezioni del 2022.
La coalizione di centrosinistra ha dimostrato di non riuscire ad andare oltre il proprio spazio identitario. Anzi, al secondo turno, quando l’elettore non può più assegnare la propria preferenza indicando il nome del singolo candidato ma è obbligato a ripiegare sul simbolo del partito, il campo progressista è riuscito nell’impresa quasi impossibile di portare a casa meno voti rispetto al primo. E lo ha fatto in maniera inequivocabile, con i 12173 voti del 12 giugno che due settimane dopo, al ballottaggio, si sono sgonfiati fino ad arrivare a 11345.
Un dettaglio che è sintomo di un male profondo e che dimostra una diffidenza evidente nei confronti dell’immaginario che si è sedimentato intorno a quell’identità politica. Considerazione che trova conferma nella scelta dell’elettorato di centrodestra, che al secondo turno ha preferito affidarsi a Rapinese – passato dai 8443 voti della prima tornata ai 14067 della seconda – dimostrando così di vivere il centrosinistra come qualcosa di assolutamente altro, di antropologicamente distante e inconciliabile rispetto alla propria idea di politica.
Certo, persa la verginità ostentata come un certificato di qualità nel 2022, per l’attuale sindaco non sarà così facile ricucirsi addosso quell’immagine di underdog che a tutte le latitudini e al di là di ogni programma elettorale, da diversi anni si sta dimostrando il vero lasciapassare di ogni confronto elettorale. Tante delle sue promesse hanno rivelato gambe cortissime e contro di lui è nato un esercito spontaneo di scontenti e traditi (bocciofila ex combattenti, associazionismo di ogni ordine e grado, genitori che si sono visti chiudere la scuola dei figli, abitanti di Civiglio, commercianti vari ecc…) che sicuramente gli volterà le spalle.
Il campo progressista si aggrappa a quella porzione rilevante di cittadinanza che non è andata a votare, ma c’è da chiedersi perché mai dovrebbe tornare a farlo tra due anni; e per quale motivo dovrebbe scegliere una coalizione – questo centrosinistra, candidamente fiero di mostrarsi privo di ogni malizia, di ogni pragmatismo, di cinica capacità di calcolo – che al momento non ha avanzato modelli di città particolarmente alternativi. Stadio Sinigaglia docet.
Se questo è il quadro, dice bene Bruno Magatti (Civitas) quando sostiene che probabilmente Rapinese vincerebbe ancora se al ballottaggio dovesse arrivarci con questo centrosinistra. Dovesse giocarsela con il centrodestra, le cose invece cambierebbero parecchio. Ed è proprio per questo che alla coalizione che quasi incessantemente ha guidato la città negli ultimi trent’anni, più che a un candidato “di apparato” converrebbe guardare a una figura trasversale e digeribile al centro, che al secondo turno possa intercettare il voto di tutto quell’elettorato pronto a turarsi il naso pur di non vivere un Rapinese bis.
La disgrazia del campo progressista – a livello nazionale ancora prima che in ambito locale – invece sembra proprio quella che da dentro continua a essere riconosciuta come la propria forza, ossia quel 20% e rotti di voti militanti “garantiti”, che ti consentono di dire sempre di non aver mai perso abbastanza, così da non sentirti costretto ad azzerare tutto e cambiare veramente. Una fragilità che, a livello locale, non può più essere nascosta sotto il tappeto appellandosi alla scusa di giocare su un territorio ostile.
È vero, Como non è l’Emilia Rossa o la Toscana, ma se ci limitassimo ad analizzare il colore politico dei 12 comuni capoluogo di Regione Lombardia, scopriremmo che – a parte Como e Sondrio – tutti gli altri sono governati da giunte di centrosinistra.