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Vannelli: “Più sorveglianza e prevenzione sui luoghi di lavoro contro i tumori occupazionali”

210 anni fa si spegneva Bernardo Ramazzini, che con la sua monumentale opera “De Morbis Artificum Diatriba”, è considerato il padre della medicina del lavoro. 54 capitoli, oltre 100 occupazioni indagate con i rischi affrontati dai lavoratori e tra questi anche i tumori: l’osservazione di quello al seno riscontrato tra le suore più che in qualsiasi altra donna; la celebre intuizione della correlazione con il celibato, anticipava di secoli l’osservazione della nulliparità e dello stato ormonale delle donne come fattore di rischio per il cancro alla mammella. Tumori occupazionali, con questo termine vengono oggi classificati i tumori causati dall’esposizione, generalmente di lunga durata, a sostanze cancerogene.

Nonostante il tema della sicurezza sul posto di lavoro tenga banco su tutti i mezzi di informazione, l’effetto patogenico o favorente dell’ambiente sulla cancerogenesi, è dei più complessi e dibattuti anche per la latenza di sviluppo delle patologie tumorali, la difficoltà nel riconoscere il nesso di causalità tra insorgenza della patologia e dose cumulativa di esposizione (sia per intensità che durata), la raccolta di dati epidemiologicamente significativi e il lungo inter legislativo di adeguamento delle direttive al progresso tecnologico. Secondo i dati di uno studio Italiano pubblicati su Cancers, quello dei tumori occupazionali è una nicchia: si stimano circa 3.500 lavoratori (0,9% dei casi di cancro) e l’1,6% dei decessi in Italia attribuibili a carcinogeni occupazionali.

Come ricorda l’INAIL però, le modifiche sostanziali in tema di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro, sono state apportate solo nel 2020, a recepimento delle due direttive europee del 2019, ecco perché le stime più accreditate in Italia sono al rialzo: un lavoro pubblicato da Binazzi calcolava circa 8.500 decessi/anno per tumori occupazionali in Italia, portando a circa 360 milioni di euro di perdite economiche indirette e costi sanitari stimati in 456 milioni di euro.  Non deve stupire inoltre se la maggior parte degli studi epidemiologici sui rischi di tumori occupazionali sono stati condotti tardivamente, perché questa disciplina è emersa in Italia solo dopo la metà degli anni ’70. Una difficoltà che spiega le resistenze nel nostro Paese, allo sviluppo e diffusione di opportuni sistemi di sorveglianza e prevenzione a tutela dei lavoratori.

In Lombardia nel 2023 i casi rilevati sono stati il 18 per cento in più: in linea col dato nazionale (+19,7%) con la netta crescita dei tumori (288 nel 2023 a fronte dei 247 del 2022). Secondo uno studio pubblicato nel 2023, dal titolo: Le malattie occupazionali riconosciute in Italia Regioni Friuli-Venezia Giulia e Liguria (2010-2021), scopriamo che l’incidenza dei tumori occupazionali è stata rispettivamente di 4,9, 16 e 10 casi ogni 100.000 lavoratori e una variazione annuale dell’incidenza per tumore dal 2010 al 2019 rimasta stabile. Uno studio del 1999 aveva valutato anche il rischio di tumore professionale tra gli agricoltori dell’Italia centrale con nuove e inaspettate relazioni tra colture specifiche e cancro: la frutta per il cancro del colon e vescica, il grano per il cancro della prostata, olive e patate per il cancro dei reni.

Risultati spiegati dalla maggiore propensione all’esposizione dei lavoratori di alcune regioni rispetto ad altre, con ricadute molto importanti: la distribuzione a macchia di leopardo degli agenti cancerogeni e mutageni e la diversità lavorativa regionale con la conseguente necessità di migliorare la conoscenza del territorio per realizzare politiche sanitarie realmente efficaci e capaci di fungere da vero elemento di protezione e prevenzione per i lavoratori. Il precetto del Ramazzini “longe præstantius est præservare quam curare”: prevenire è di gran lunga meglio che curare, resta la più grande eredità a monito delle future generazioni.

Prof Alberto Vannelli
Presidente Erone onlus

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