L’insieme delle cose foto è tipicamente suo, un marchio si potrebbe dire: una fotografia che strappa l’oggetto – sovente un edificio, un monumento – alla sua quotidianità e lo trasporta in un’altra sfera. Quella delle riflessione, del capovolgimento dei significati, della provocazione mai fine a se stessa. Questa volta siamo nel terzo caso.
L’immagine è quella che vedete in alto: un “Oliteama”, senza la “P” crollata da un pezzo, in tutta la sua fatiscenza, immerso nella notte. Salvo un punto rosso: un semaforo che scioglie il colore nel buio e che ha ispirato la battuta apparsa sul suo profilo Facebook: “RED…time, PROVOCATION…time. Piuttosto che vederlo divorato dal degrado…forse meglio demolirlo…poor OLITEAMA ormai simbolo del degrado!”.
Impossibile non agganciare lo spunto di Lorenza Ceruti – architetto che non c’è bisogno di presentare oltre – e capire origine e significato della provocazione.
“Ci passo tutti i giorni – racconta – e uno sguardo e un pensiero li dedico al possente, impotente e agonizzante, ormai rinominato Oliteama: la P non ce l’ha fatta. Cuore di cittadina comasca infuria. Cuore di architetto sanguina. Cuore di fotografa è in parte affascinato dal degrado, ma potrebbe benissimo farne a meno di questa fascinazione”.
Sarebbe quasi superfluo andare oltre visti i vari universi già concentrati in queste parole. Ma approfondire è comunque utile.
“La mia provocazione vuole essere pro-dignità verso questo edificio, che ha visto nel suo passato una onorevole storia: per circa 100 anni (1909-2005) è stato al servizio della Cultura comasca, nelle sue differenti e molteplici forme. Teatro, cafè chantant, bar, ristorante, albergo, circo e cinema – racconta Ceruti – Cuore di architetto, che prevale, fa molta fatica ad accettare questo lentissimo strazio nell’indifferenza della città”.
Altra stilettata nei pensieri della città: “La domanda ricorrente che mi pongo è: meglio lasciar morire il malato o ucciderlo? Eutanasia o inesorabile e plateale agonia? E comunque anche arrendersi, cioè demolire, è difficile da accettare. E’ una sconfitta”
C’è una venatura futurista – l’abbattimento dei simboli di un tempo andato e forse deceduto per sempre – in quei pensieri. Tanto che viene spontaneo chiedere: è solo provocazione? C’è un’autentica sfida alla coscienza di Como?
“E’ una provocazione, ma in fondo è forse anche desiderio – spiega Lorenza – Quello di non assistere alla sua lenta morte, quella di non vederlo quotidianamente come simbolo di degrado, di disinteresse, di incapacità da parte di chi ci amministra di affrontare il suo risanamento, il suo recupero il suo riportarlo in vita. Alla città servirebbe nella sua attuale destinazione d’uso. D’altra parte una provocazione è spesso un atto per toccare la coscienza, nel bene o nel male. Per risvegliare dall’indifferenza. Per porre l’attenzione sul dimenticato”.
E infine, si torna lì, dove ogni vita pulsa: “Ci vuole un grande coraggio sia per demolire ma forse ancor più per recuperare. E il coraggio deriva dal cuore!”.
Ne avrà abbastanza di coraggio, questa città, per rimettere la “P” maiuscola all’Oliteama?
Un commento
Lasiar le cose a se stesse , di fatto. E’ questo.lo specchio dei tempi. In architettura come in politica ci vuole una visione e un progetto. Anche io mi rattristo nel vederlo.cosi. Dimenticato. Anche abbatterlo per ricostruire sarebbe un segnale di vita. Rumoroso. Invadente e contestato. Meglio del nulla. Cristina Dolce