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Affidi, lettera di 15 famiglie comasche: “Qui il servizio funzionava ma ora va aiutato. Non lasciateci soli”

Dopo la lettera della scorsa primavera da parte 15 famiglie al sindaco di Como, al quale si chiedevano certezze e spiegazioni dopo aver appreso che l’amministrazione non aveva rinnovato l’affidamento al Servizio Affidi Sovradistrettuale, la vicenda generale si è tutt’altro che sbloccata. Anzi, a distanza di 8 mesi, le stesse famiglie affidatarie tornano a ribadire come non siano affatto terminate le loro difficoltà, oltre che per condividere le preoccupazioni che hanno da mesi.

Di seguito, il testo integrale della nuova lettera aperta rivolta al primo cittadino di Como.

L’Affido familiare: un ponte tra passato e futuro

L’affido familiare è un viaggio e come ogni viaggio porta con sé speranze, paure e incognite. C’è chi lo vede come un gesto di generosità, chi lo considera un’azione necessaria, chi, ancora, lo vive come un atto d’amore.

Ma al centro di tutto, prima ancora delle leggi, delle procedure e delle valutazioni psicologiche, ci sono i bambini. Bambini che hanno visto troppo, che hanno sentito troppo e che, troppo spesso, hanno smesso di aspettarsi qualcosa di buono dal mondo. È a loro che dobbiamo pensare quando parliamo di affido. Essere una famiglia affidataria non è come accogliere un ospite. Non si tratta di dare un posto a tavola o un letto su cui dormire. L’affido è un’opera di ricostruzione, un impegno quotidiano nel far capire a un bambino che il mondo non è solo abbandono e precarietà.

Ma nessuna famiglia può affrontare questa sfida da sola. E qui entra in gioco lo Stato, che dovrebbe essere il primo alleato di chi sceglie di aprire le proprie porte e il proprio cuore. I servizi sociali, laddove funzionano bene, non sono semplici osservatori burocratici, ma guide preziose in un cammino complesso. Offrono supporto psicologico, formazione, monitoraggio costante. Ma il problema è che, troppo spesso, la loro presenza è incostante, frammentaria, come un faro che illumina a intermittenza un sentiero già di per sé accidentato.

Quando il sistema di affido è ben organizzato, i numeri parlano chiaro. Studi internazionali dimostrano che le famiglie affidatarie che ricevono supporto psicologico e formazione hanno il 70% di possibilità in più di portare a termine con successo il percorso di affido. Un rapporto dell’European Child Welfare Observatory evidenzia come una rete strutturata riduca drasticamente i fallimenti nell’affidamento e favorisca una migliore integrazione del minore nella nuova famiglia.

E allora viene da chiedersi: perché non si investe di più in questa rete? Perché lasciare che famiglie volenterose si trovino sole di fronte a problemi che potrebbero essere affrontati meglio con un adeguato accompagnamento? C’è un momento, nei racconti di chi ha scelto l’affido, in cui si capisce davvero cosa significhi tutto questo. È il momento in cui un bambino, che per mesi ha avuto paura di addormentarsi, finalmente si rilassa. È il momento in cui smette di chiedere con angoscia se il giorno dopo sarà ancora lì, se dovrà andarsene di nuovo. È il momento in cui si fida.

Rendere l’affido una realtà solida e supportata significa gettare le basi per una comunità più giusta, più umana. Un bambino che trova amore e stabilità oggi sarà un adulto capace di restituire al mondo domani. Ed è in questo, alla fine, che sta la vera vittoria.

Nella nostra esperienza questo è quello che fa il Servizio affidi sovradistrettuale (di ASComLar, ASC Galliano e ASCI) che non sono solo sigle ma sono nomi e cognomi di operatori, di professionisti, di persone che aiutano ogni giorno le famiglie affidatarie nel loro percorso con i bambini. Hanno dei volti e degli sguardi che ci hanno rassicurato e dato forza: attualmente affrontano difficoltà finanziarie e organizzative che ci auguriamo trovino risoluzione ed equilibrio per tornare a essere efficienti ed efficaci com’è stato fino a oggi. Sono un piccolo esempio di Italia che funziona e sono parte dell’essere famiglia di cui i bambini hanno bisogno se non vogliamo credere che il “bene supremo del minore” sia solo un articolo su un pezzo di carta.

Insomma, più gli affidi funzionano e meno bambini verranno posti in comunità, oltretutto con meno costi per la collettività. Ma non è solo una questione di procedure, di numeri o di risorse economiche. È una questione di responsabilità collettiva. Una società che si prende cura dei suoi membri più vulnerabili è una società che costruisce il proprio futuro su basi solide. E il futuro non si costruisce lasciando indietro chi ha più bisogno.
15 famiglie affidatarie con minori in carico del Comune di Como

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