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Punti di vista

Como cambia ma la città se ne frega e inghiotte tutto muta. Siano santificati almeno gli architetti

Complici un centrodestra tra l’evanescente e l’inesistente e l’effetto del monocolore di governo a una sola voce guidato dal sindaco-padrone, Como da tempo ha completamente perso il dibattito pubblico di natura politica, dove per politica si intende il discutere degli amministratori anche fuori dalle mura di gomma del Comune, coinvolgendo la cittadinanza sui temi rilevanti anche solo a un livello ideale, dialettico, mediatico e intellettuale al di là della polemica del giorno. In questo quadro, siano santificati gli architetti. Gli unici, ma veramente gli unici, che sanno ancora dire qualcosa su ciò che accade in questa città, ormai prona al concetto del “vediamo come viene, muti”.

Tanti gli esempi in cui questa afonia assoluta del tessuto sia politico che civico si è mostrata in tutto il suo silenzio: il nuovo lungolago, il progetto per la Ticosa, quello di strettissima attualità per i futuri giardini a lago, la questione annosa dello stadio, l’annunciata trasformazione della piana di Muggiò a polo sportivo, giusto per citarne alcuni. Cose grosse, alcune persino enormi, se guardiamo alla storia di questa piccola e incantevole città. Eppure, di tutto questo, cioè delle più significative trasformazioni dell’aspetto e della vivibilità della città, siano esse compiute o in divenire, Como – Como intesa oltre il singolo ruttino su facebook, ma nelle sue articolazioni istituzionali, associative, mediatiche, politiche e civiche – ha scelto di non dibattere pubblicamente, di rinunciare all’opinione limitandosi ad aspettare che tutto sia compiuto e deciso da altri.

Vige un sentimento di passiva attesa, di servile e silente sottomissione a ciò che un singolo o un ristrettissimo gruppo ha deciso che sarà. Anzi, di più: sovente ciò che un tempo erano interventi in consiglio comunale, riflessioni sui giornali, lettere aperte, interventismo di categoria, protagonismo individuale – tutto ciò che faceva ricco il dibattito di una città sulla città – è stato al massimo sussunto dai social. Dove il valore del confronto sui temi rilevanti di Como si tramuta giusto in qualche estemporanea fiammata – tanto più volgare quanto meno si è informati sulla materia – in cui fazioni schierate a priori non apportano alcuno spunto di un interesse che guardi oltre il proprio davanzale.

Tornando al discorso più generale, della situazione in Municipio è anche inutile parlare oltre: c’è un sindaco che esprime una sua visione e un’intera macchina politico-amministrativa che esegue senza eccepire mai, senza avvertire mai un qualche stimolo di confronto pubblico o almeno aperto oltre il recinto di squadra. Una caserma amministrativa, in sostanza, che infatti in oltre un anno e mezzo di governo non ha prodotto un solo evento pubblico che non fosse meramente istituzionale per coinvolgere la cittadinanza su opere e progetti. Resta la forza del sostegno più importante, certo, cioè le schede elettorali di chi andò a votare nel giugno 2022. E sui risultati di questa linea podestarile decideranno ancora i comaschi fra tre anni e mezzo: così vuole la democrazia e così è giusto che sia. D’altronde non è nemmeno questo il tema centrale di queste righe. La questione che si vuole sviluppare è piuttosto lo spegnimento di bocche e cervelli anche oltre il palazzone, la sua forza di governo e le sue legittime scelte, che piacciano o meno. E’ ben più vasta la malattia del mutismo, insomma, rispetto al perimetro comunale.

E pensare che questi sono anni in cui la città cambia, o almeno ci prova, e non ci sarebbe niente di male in una discussione a più voci su ciò che accade e accadrà, analizzando novità e aspirazioni, confrontando punti di vista per cogliere le ragioni di elogi o stroncature (e per esprimere entrambe su qualche base minimamente informata, magari). Invece no, non accade più. E non soltanto non succede a Palazzo Cernezzi: anche lo stesso mondo giornalistico ha sostanzialmente rinunciato all’opinione, all’intervento, al dibattito. A entrare con spirito gagliardo nei cambiamenti della città, siano essi il nuovo lungolago, la Ticosa e via dicendo.

Restano, per tornare all’inciso iniziale, solamente gli architetti. O meglio, un drappello di architetti: da Lorenza Ceruti ad Attilio Terragni e Sergio Beretta, da Paolo Brambilla ad Arianna Sinigaglia  e sicuramente qualche altro nome che stiamo colpevolmente dimenticando. Su tutti i temi citati, le uniche voci che hanno espresso qualche idea, qualche opinione, qualche analisi sulla Como che si è trasformata (lungolago), si trasformerà (Ticosa) o potrebbe trasformarsi (Muggiò e giardini a lago), sono state le loro. Per quanto singolarmente, da loro sono arrivati spunti interessanti e coinvolgenti, capaci di rianimare un minimo il moribondo dibattito pubblico senza peraltro avere la velleità di dover cambiare le cose per forza. Con il puro spirito di partecipare ai cambiamenti della città, senza fare da tappezzeria alle scelte degli altri.

Per il resto, il nulla o quasi: associazioni, categorie, la gran parte dei partiti, singole personalità del mondo economico e culturale non degnano praticamente mai Como di un loro contributo. Che sia per paura del manovratore, timidezza, insipienza, disinteresse o chissà cos’altro, la Como di oggi e soprattutto di domani per costoro non merita una parola. Basterà loro, viene da credere, vedere il prodotto finito e poi, al massimo, spellarsi le mani dagli applausi o appiccicare due post velenosi su facebook prima di inghiottire tutto, digerire qualsiasi cosa cali dall’alto e reimmergersi nel beato silenzio passivo. E meno male che questa è l’era della comunicazione, perché altrimenti lo spot ideale per la Como futura sarebbe stato un film muto. In bianco e nero. Brutto.

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5 Commenti

  1. RITRATTO PIU’ CHE PERFETTO – SORPRENDENTE TROVARLO IN UNA FANZINE DI PROVINCIA TANTO E’ ACUTO E PREGNANTE – NON SOLO DELLA REALTA’ ANODINA COMASCA MA LO E’ DI TUTTA QUELLA A CARATTERE NAZIONALE. DEL RESTO L’ACEFALICITA’ DEL GREGGE FU AMPIAMENTE DIMOSTRATA QUANDO IMPERVERSO’ LA PESTE DI DAVOS E TUTTO IL PECORAME BELO’ A FAVORE DEI PROPRI PADRONI.

  2. Egr.uno dei tanti ,quando scrive metta almeno il suo nome e cognome Non ho votato Rapinese e non rappresenta affatto tutti noi cittadini per fortuna

    E.V.

    P.S .Lei cosa ha fatto per COMO?

  3. Probabilmente la cittá che potrebbe avere voce in capitolo, visto il chiaro andazzo, aspetta…. “a lavar la testa all’asino é uno spreco di tempo, acqua e sapone”.

  4. Con tutto il rispetto per i colleghi che si espongono per volontà e voce autonoma ma qui la latitanza è proprio degli architetti. Dove sono i tavoli sulla città? I dibattiti culturali intorno ai temi più significativi? Dove i convegni?
    Se a Milano l’Ordine dibatte sulle questioni cittadine a Como il tema della città è completamente scomparso dall’agenda degli eventi culturali. Nessun evento o convegno in programma sulla Ticosa, sui Giardini, sullo Stadio, su Muggiò. Tutto passa da altre parti ma non certamente dagli architetti.

  5. Ho letto con attenzione il Suo articolo e mi complimento sia per la forma che per la sostanza, ma mi preme sottolineare che non sempre il silenzio sottende inerzia, se la nostra città cresce in tanti settori, è sicuramente merito di quella parte produttiva che non si ferma mai, programmando lo sviluppo con impegno, senza proclami, che osserva silenziosa ma non inerme, non servono le luci della ribalta, non servono le associazioni o gli ordini professionali, altrimenti si arriva al paradosso di ergere alcuni mediocri professionisti, (ovvero quelli che lavorano poco ed hanno tanto tempo libero oltre ad un imbarazzante curriculum) ad urbanisti, giuristi ed economisti, che come tanti rappresentanti politici ci insegnano quello che non si deve fare, senza spiegarci cosa e come bisognerebbe fare, non compiono atti concreti che servono alla collettività, ma idealizzano i loro pensieri come valori assoluti, tristi e rancorosi, sempre a giudicare senza alcuna reale competenza dimostrata sul campo, mai concretamente positivi, bisogna sempre demolire il lavoro altrui, senza nemmeno rendersi conto che così si evidenzia la propria pochezza, maestri di luoghi comuni a cui ci si appoggia senza alcun senso critico.
    Non ho votato Rapinese, e sono convinto che si potrebbe e dovrebbe fare di più, ma bisogna aiutare chi ci amministra, soprattutto quando sbaglia direzione e non sputare costantemente veleno, oggi Lui è il nostro sindaco e ci rappresenta tutti, quindi bisogna contribuire, ma senza megafoni, ognuno per le proprie competenze, possibilità e capacità, con un minimo di senso civico, a migliorare la nostra città senza colpevolizzare chi prova a fare qualcosa.
    Nella mediocrità generale di chi ci rappresenta si arriva a condizionare anche chi mediocre non lo è, esempio su tutti la Minghetti, donna di cultura e di spessore che potrebbe dare un grande contributo allo sviluppo della nostra città, anche dai banchi dell’apposizione, e che meriterebbe sicuramente maggiore considerazione dal Sindaco, ma è costretta ad assistere con evidente imbarazzo i suoi colleghi mentre discutono sul nulla, come se fossero al Bar regalandoci perle di principio e di saggezza.
    Politicamente negli ultimi 20 anni abbiamo perso credibilità a livello nazionale perché chi rappresenta la nostra città in Regione e in Parlamento, se pur divisi dal colore della casacca si uniscono nel dimenticarsi di Como, esattamente il contrario di quello che fanno i rappresentanti delle vicine province di Bergamo e Varese, che riescono a dirottare nelle proprie realtà di appartenenza risorse, investimenti ed interessi, mentre i nostri blasonati concittadini sono impegnati nelle comparsate, nelle sterili critiche perché hanno preso la multa con il motorino in divieto di sosta, perché gli hanno spostato il posto auto residenti di 50 metri, perché non piace un parapetto, le casette di natale, la scelta delle piante o il colore dei fiori.

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