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Da sinistra Michelini rilancia: “Le 4 condizioni per un Islam che non sia dominio e schiavitù”

Nel vaso dibattito che si è acceso su queste pagine circa la possibile apertura di un centro culturale islamico in Valle Intelvi, con tutta la lunga serie di prese di posizione che abbiamo ospitato (le trovate qui), oggi se ne aggiunge una ulteriore ricca di spunti. Autore è Luca Michelini, professore ordinario di Storia del pensiero economico all’Università di Pisa.

La Lega di Como, seguendo una politica di carattere nazionale, nega un luogo pubblico per il Ramadam. E la polemica come sempre si incentra su ciò che garantisce la nostra costituzione e ciò che sul piano amministrativo e politico le forze politiche invece propongono. Il centro-sinistra, quel che ne rimane, anche con esponenti di spicco del mondo cattolico, si schiera a favore della libertà di culto. Si pongono così problematiche rilevanti, complesse da affrontare e quindi proverò a procedere per punti.

Sul piano costituzionale è doveroso ricordare che l’articolo che garantisce la libertà di culto pone il problema del “buon costume”. “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”.

Non sono un giurista, ma ai miei occhi è del tutto evidente che un margine di manovra anti islamista esiste, eccome. Non ho infatti dubbio alcuno a ritenere che nel rapporto uomo-donna il buon costume non sia affatto osservato. Qui non siamo nell’ambito delle leggi di natura, siamo nell’ambito della cultura e dei comportamenti sociali, ovviamente. E sul piano culturale e sociale voglio dire chiaro e tondo che per quanto mi riguarda qualsivoglia religione o tendenza intellettuale (morale, politica ecc.) che pensa di produrre o proporre un rapporto di dominio o di schiavitù su un altro essere umano, anche su un membro della famiglia, è semplicemente inaccettabile.

Sul piano culturale è altrettanto doveroso ricordare che non esiste un solo Islam. Ridurre la storia ad una disputa teologica è più che primitivo: è senza fondamento scientifico alcuno. Come ogni religione e come qualsivoglia fenomeno culturale, esistono tanti modi di intenderla e di interpretarla e di viverla e di renderla parte costitutiva della storia. Si tratta di capire il ruolo sociale della religione in un qualsivoglia momento storico dato. Anche se il fondamento è in un testo, i testi vanno interpretati e ci sono state addirittura delle guerre per dirimere certe questioni.

E’ necessario distinguere. E il motivo è, oltretutto, di carattere morale e politico. Perché solo distinguendo è possibile far partecipare questi credi, al credo repubblicano: che è anzitutto un insieme di valori, prim’ancora che di politiche. Quanto più perseguiti un gruppo, quanto più questo gruppo diventa ostile, fino a diventare un vero e proprio nemico. Una nazione nemica nel seno della nazione. Uno Stato nello Stato.

Per distinguere sono però necessari alcuni presupposti. Conoscere la lingua, in primo luogo. E non è infondato chiedere che la lingua italiana diventi la lingua di culto.

In secondo luogo, promuovere un processo di acculturazione di impatto adeguato: cosa che purtroppo non sta affatto avvenendo, essendo anzi diventata la scuola pubblica uno degli agnelli sacrificali dei governi degli ultimi trent’anni.

In terzo luogo questo processo di acculturazione dovrebbe fare perno appunto sulla scuola pubblica. Invece, aprendo la strada alla privatizzazione dell’istruzione, il rischio enorme che si sta correndo è proprio quello che si vorrebbe evitare: che ciascuna religione (anche politica), si crei la propria scuola. Si favorisce, così, ancora una volta, la crescita di nazioni dentro la nazione.

In quarto luogo lo spazio del dibattito pubblico dovrebbe ricorrere alle conoscenze di coloro che conoscono, per mestiere praticato, le dinamiche proprie e di questa o quella religione e le dinamiche delle società multi-religiose e culturali. Eppure accade l’esatto contrario: non esiste alcun ricorso alla conoscenza. La pubblica opinione (nei giornali, nelle tv, sui social, nei partiti) è costituita da ideologi, mai da esperti della materia.

Sul piano politico e morale, vorrei infine dire che il tema da affrontare è quello del processo di islamizzazione della società.

Più in generale ancora, il tema da affrontare è capire se e in quali termini esatti il mondo cattolico, così importante per il nostro paese, sta affrontando la questione della islamizzazione. Per quanto mi riguarda, appartenendo alla tradizione razionalista dell’Occidente, non ho tema di scrivere che i processi di de-secolarizzazione della società, cioè il nuovo, importante rilievo che va assumendo la religione, compresa la religione ormai egemone, cioè la religione del denaro, sono un fenomeno molto preoccupante, che segnala appunto come il tentativo di proporre un governo razionale e libertario della società sia oggi messo sempre più in un angolo. Ma anche in questo caso è necessario fare delle distinzioni.

Non si tratta di parlare di religione in generale, ma di religione in quanto fenomeno sociale e istituzionale; non si tratta di parlare di religioni, ma di sapere distinguere le particolarità di ciascuna di esse nel momento storico dato. Come non posso non riconoscere che sul piano sociale una grande spinta all’emancipazione dell’umanità è venuta da una certa lettura del Vangelo, e che questa lettura spesso è stata perseguitata da letture del Vangelo di carattere diametralmente opposto e cioè oscurantista, così vorrei essere messo in grado di poter distinguere se e in quale misura posso contare su certe letture del Corano e quali, invece, devo considerare eversive della civile convivenza. La libertà di culto non è sufficiente.

Avendo, d’altra parte, ben chiaro in mente che lo scopo di una forza progressista che vuole rimanere ancorata ai valori della prima parte della nostra costituzione non può certo vedere con favore un qualsivoglia processo di islamizzazione della società; né qualsivoglia processo di de-secolarizzazione della civiltà. Sarei indifferente alla costruzione di una moschea, o alla scelta ecclesiastica degli insegnanti di religione, se il suo orizzonte e la loro competenza fossero sovrastati, urbanisticamente e moralmente per spirito d’abnegazione, da quello di decine e decine di scuole pubbliche di ogni grado, ricolme di studenti di qualsivoglia provenienza e credo che sui banchi di scuola trovassero migliaia di giovani insegnanti capaci di trasmettere quel metodo e quei contenuti della civiltà, anche italiana, che hanno scandito il progresso dell’umanità.

La tolleranza non è relativismo: è un processo di assimilazione, di integrazione, anche di contaminazione, ma all’interno di una cornice di valori molto precisa.

Preoccupa, soprattutto, la religione del denaro: la quale, mentre diffonde, non raramente armi alla mano, il suo spirito destabilizzante in gran parte dei Paesi islamici diffondendovi ogni sorta di fondamentalismo, crea nei luoghi d’origine dei comodi ghetti religiosi altrettanto fondamentalisti, creando l’illusione che unica salvezza dell’umanità sia fare un grande balzo indietro nel tempo, quando servaggio, schiavitù, dispotismo, persecuzioni religiose ed etniche e morali, erano funzionali all’arricchimento di una ristretta cerchia di eletti. Se questa è l’idea di popolo sulla quale si vuole creare la Nuova Europa, l’Europa ritornerà ancora una volta terra di tremende guerre, di guerre “totali” tra nazioni “nemiche”, tra organismi di potere a cui non basta l’obbedienza, poiché mirano al controllo delle coscienze.

Luca Michelini, Professore Ordinario di Storia del pensiero economico presso l’Università di Pisa

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