RADIO COMOZERO

Ascolta la radio
con un click!

Attualità, Punti di vista

Como Pride il 15 luglio: le spalle grosse, i ‘buontemponi’, la lotta LGBTQI+, i locali segreti a Milano. Alcune cose importanti da dire e ricordare

Ci risiamo! Giusto il tempo di annunciare che anche quest’anno a Como ci sarebbe stato il PRIDE ed ecco che i soliti “buontemponi” hanno voluto subito dare il proprio tributo alla civiltà e alla buona convivenza, apponendo qua e la i loro cartelli intimidatori e (nei loro intenti) dissuasori, nei confronti di chi lo stava organizzando (qui i racconti e le denunce).

Evidentemente anche costoro non avevano messo in conto quanto sinora i loro stessi concittadini, facenti parte per natura dell’attualmente nota comunità LGBTQI+ si fossero fatti le spalle grosse in tutti questi anni di quella che potremmo chiamare tranquillamente “segregazione”, riscontrabile nella nostra provincia, come in molte altre per la verità.. Per essere precisi gay e lesbiche comaschi hanno dovuto lottare anche più degli altri, non solo per i loro diritti fino a ieri tenuti opportunamente nascosti ed oggi colpevolmente negati da più schieramenti politici, ma diciamo pure anche per potersi emancipare come tali, in un territorio che, ad esempio, aveva ben poca coscienza sull’argomento, quasi volendo “negare” che il fenomeno fosse presente, da queste parti. In molti ricorderanno le polemiche e le invettive politiche a cui si dovette assistere, anche in sede di Consiglio comunale, nel lontano 1999 quando per la prima volta la manifestazione si svolse in terra lariana, per contestare allora alcune frasi pronunciate dall’allora vescovo di Como, monsignor Alessandro Maggiolini in trasmissioni televisive e giornali nazionali in cui asseriva cose come: “Molti omosessuali possono essere curati da questa loro seconda natura e farli entrare in contatto con i bambini, potrebbe voler dire consegnarli a realtà e situazioni legate solo al sesso, da scoraggiare”.

“Da che pulpito!” risposero le associazioni e la parata si tenne, avendo come tappa obbligata il Palazzo Vescovile, con relative polemiche e bufere sollevate per giorni sui quotidiani locali. E a quanto pubblico ludibrio dovette sottomettersi l’allora assessore alla viabilità della seconda giunta Botta, Nini Binda per aver “osato” prendervi parte, quale unico rappresentante dell’Amministrazione. Ma sulle rive del Lario, la qualità della vita per i “diversi” era già osteggiata sin dal dopoguerra. Un noto ex-calciatore del Como, in vecchiaia era noto in città per i suoi valorosi racconti in cui si vantava di andare spesso con i compagni letteralmente a “dare tante bastonate ai pederasti che si davano appuntamento accanto allo stadio” perché “colpevoli di voler tentare di adescare e violentare i bambini” (!). Più tardi le cose erano più da catalogare nella sezione “non è un paese per gay” perché se si voleva evitare di espatriare in città limitrofe come Milano, Bergamo, ma anche la più piccola Varese per passare la serata in un localino a tema restando in convalle, il panorama era alquanto desolante. Negli anni si registrava qualche possibilità di incontro nel minuscolo “Ibiza” di via Ugo Foscolo e il coraggioso “Halloween” di piazza San Rocco, mai dichiaratamente gay-bar, ma diciamo almeno di ampie vedute e ormai chiuso da tempo. Tutto molto nascosto e quello che qui era insospettabile e coperto, nel capoluogo lombardo, Milano, lo vedevi liberarsi di inibizioni in locali come il “Plastic” o il “One Way”, per citarne giusto un paio, dove qualche volta potevi tranquillamente incrociare il tuo medico di base o il tuo professore, stavolta però senza moglie e figli al seguito.

C’erano poi altri ritrovi da segnalare all’interno dei cinema a luci rosse, come i proverbiali “Embassy” e “Italia” anche questi con le serrande abbassate da molto. Naturalmente a facilitare le cose sono emerse con l’avvento di Internet, piattaforme, siti dedicati e app che permettono di darsi appuntamento molto in privato e al di sopra di ogni sospetto. Ma tutto è ancora pressoché un tabù. Solo di recente, grazie ad un certo sdoganamento mediatico e una miglior presa di coscienza delle ultime generazioni, il coming-out sta diventando nonostante tutto, più disinvolto e meno annichilente. E vedere associazioni e giovanissimi, ogni anno darsi da fare per costruirsi da soli una società che li faccia sentire più protetti ed emancipati dovrebbe solo farci sentire più ottimisti e ben speranti per il futuro.

IL COMO PRIDE 2023, TUTTI I DETTAGLI:

ComoPride e la terza edizione del corteo il 15 luglio. Ai giardini spunta lo striscione firmato Fiamma Tricolore

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Un commento

  1. Basta che gli insegnanti pro lgbt non dicano già alle elementari che il bambino può essere maschio o femmina o altro come capitò a mia nipote in terza elementare. Ora ha 11 anni e l’insegnante è pensionata, ma ha fatto un bel danno agli alunni allora

Lascia un commento

Potrebbe interessarti:

Videolab
Turismo