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“Il cognome del marito nel documento per candidarsi, cultura machista che subordina la donna”

Il Comitato Assemblee Popolari, che appoggia la candidatura a sindaca di Adria Bartolich, contesta il linguaggio nella documentazione per le prossime elezioni comunali.

In particolare, a essere bollata come simbolo di “cultura machista” che “mostra la donna come sempre disposta al compromesso, subordinata al marito, la cui voce viene soffocata ancora prima di aver parlato” è un’espressione contenuta nella Dichirazione di accettazione di candidatura alla carica di consigliere comunale. Un foglio su cui compare questa indicazione testuale, sebbene del tutto facoltativa e non obbligatoria: “Le donne coniugate o vedove possono aggiungere anche il cognome del marito”.

Un’espressione che a dispetto della facoltà che offre senza alcun vincolo, secondo il Comitato Assemblee Popolari esprime nei confronti delle donne “una cultura e una politica che non ci considera e che parla di uguaglianza e di donne attraverso le parole degli uomini: vogliamo riprenderci il linguaggio, le parole, i pensieri”.

Di seguito, l’intervento integrale.

Le donne coniugate o vedove possono aggiungere anche il cognome del marito.
Questa è come appare la prima riga della “Dichiarazione di accettazione di candidatura alla carica di consigliere comunale”.

Disposizione di un Regio Decreto (il maiuscolo è di dovere per un pezzo di antiquariato), cioè un atto normativo ancora in vigore ma non più emanabile datato 16 marzo 1942, il cui scopo era quello di rispettare il principio di parità tra marito e moglie.

Con la consapevolezza di oggi, dopo anni di lotte volte a garantire la piena uguaglianza e ad eliminare la cultura machista all’interno della nostra società, possiamo dire che anche nell’eventualità in cui questo Regio Decreto sia stato adottato con buone intenzioni in aderenza al principio di parità, la maternità legata alle vecchie tradizioni non ha fatto altro che porre ancora di più l’accento sulla sua dominazione culturale.

Questa piccola, quasi invisibile, frase tra parentesi mostra chiaramente come in generale la società, ma in particolare soprattutto la politica, sia ancora ben lontana dal garantire l’uguaglianza di genere all’interno degli spazi di pensiero e d’azione. Mostra la donna come sempre disposta al compromesso, subordinata al marito, la cui voce viene soffocata ancora prima di aver parlato. Siamo stanche di una cultura e di una politica che non ci considera e che parla di uguaglianza e di donne attraverso le parole degli uomini: vogliamo riprenderci il linguaggio, le parole, i pensieri.

Portiamo un ulteriore esempio in cui tentiamo di mostrare che il re è nudo, saremo brevi.

Non molto tempo fa si era creata un po’ di discussione intorno all’utilizzo del genere femminile o maschile per indicare la persona che ricoprirà il ruolo di sindaca a Como. Si fa notare come la parte chiamata in causa abbia poi spiegato la propria scelta in quanto a livello istituzionale la parola sindaco garantisce credibilità e autorevolezza. Ebbene, questo è esattamente il modo in cui le stesse persone discriminate accettano implicitamente di esserlo e riproducono un modello opprimente che alla fine vince.

Nulla è servito lo sforzo del cambio della dicitura da “candidato sindaco” a “candidata sindaco”. Non avete compreso. Se per voi il femminile è svilente, se vi dà fastidio, se vi crea disturbo, ci dispiace. Noi continueremo così.

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