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La lettera: “Io, mamma di un’educatrice e il dolore per chi rischia senza protezione al fianco di anziani e disabili”

Il tema dei contagi da Coronavirus nelle Residenza assistite, per anziani e disabili in particolare, è certamente uno dei risolvi più delicati e drammatici dell’emergenza in corso, anche a Como e provincia.

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Sul tema, riceviamo e pubblichiamo la lettera di Roberta Beretta, comasca, mamma di un’educatrice e inevitabilmente molto preoccupata.

Vi scrivo per focalizzare l’attenzione sulla realtà delle Comunità, Centri per disabili, RSA.

Gli educatori, che qui prestano la loro opera troppo spesso operano senza tutela, visto la mancanza di presidi utili ad evitare il contagio. Ogni giorno si occupano delle categorie più fragili, di quelli più bisognosi, più esposti a contagi e soprattutto complicanze gravi da COVID 19.

Educatori ed operatori il cui lavoro, per ovvie ragioni, non può osservare neppure l’indicazione di mantenere un metro di distanza fra operatore e utente, così come non può evitare contatti più diretti e ravvicinati necessari per prendersi cura degli utenti.

In molti casi la mascherina viene data quando c’è già un caso sospetto perché manifesta i segni di malattia, una mascherina usa e getta che però si usa e non si getta, perché non ce ne sono.

Anche questi utenti fragili sono invitati a restare al proprio domicilio (la residenza in cui vivono con altri utenti ed operatori), finché non si manifestano le tanto temute crisi respiratorie. A questo punto, se possibile, vengono ricoverati, da soli.

Persone sole, che non sempre comprendono appieno cosa sta succedendo proprio per la loro condizione mentale compromessa, ma che sanno, sentono che da un mese già erano lì chiusi, che nessun parente, quando ci sono i parenti, poteva andare a trovarli, che non potevano andare a casa per il fine settimana, che non ricevono un abbraccio, una carezza, che respirano la preoccupazione che ormai avvolge tutto e tutti da un mese.

Ora, è vero che tutti versano in questa solitudine forzata, ma per questa categoria di persone è ancora più difficile da capire/accettare.

Nel frattempo gli educatori devono continuare a lavorare facendo i conti con la preoccupazione per la gestione di chi è loro affidato, per se stessi e per le proprie famiglie, mantenendo un equilibrio mentale ed emotivo non indifferente, per trasmettere quel minimo di tranquillità vitale per le categorie fragili.

Anche questa è una trincea dove si combatte una lotta continua, dove si ipotizza che ci possa essere un caso o più casi che possono contagiare altri utenti ed educatori, educatori che si ammalano e non sanno se è COVID 19 o un’influenza banale perché se non c’è crisi respiratoria non lo si saprà mai. Però si è consapevoli del fatto che si è possibili diffusori di contagio presso i propri familiari, colleghi, utenti, e così si incrementa la pandemia.

La pandemia che con i pochi mezzi che abbiamo difficilmente può essere contenuta, se non con la responsabilizzazione dei singoli, a seconda dei propri ruoli. La pandemia che potrebbe essere magari rallentata nella sua diffusione potendo investire sulla prevenzione, quando per prevenzione si intende accesso ai presidi di protezione individuale, mascherine, guanti, la possibilità di poter fare tamponi all’interno di questi centri che rappresentano piccole comunità sociali; già, ma i mezzi non ci sono né a livello economico, né di strumenti, né di personale sanitario, ormai decimato anch’esso.

E pensare che fino a ieri eravamo la Lombardia, una delle Regioni più avanzate, economicamente trainanti il resto del Paese, un Paese industrializzato. Oggi siamo senza mezzi, alla deriva economica, allo sbaraglio totale, contiamo i caduti sul campo.

Sono madre di un’educatrice e conosco difficoltà e amore per il proprio lavoro di questa categoria. Oggi mi sento la mamma di tutti gli educatori, di tutti gli appartenenti alle categorie fragili.

Stringo tutti in un forte abbraccio educatori , disabili, anziani e quanti sono soli e spaventati in una corsia d’ospedale e chiedo alle Istituzioni e a chi di dovere di intervenire per arginare questa carneficina.

Leggo e sento le varie discussioni sul fatto che limitare la libertà è antidemocratico e anticostituzionale; non possiamo invece appellarci all’art.32 della nostra Costituzione in cui si dice che La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e attuare le misure necessarie, anche repressive, perché la leggerezza e il menefreghismo di chi non rispetta le regole non vada nuovamente a discapito di operatori sanitari a vario titolo e delle categorie più fragili.

Roberta Beretta

La lettera è stata invita anche al Comune di Como, che tramite il Centro Operativo Comunale, ha inviato una sua risposta all’appello. Lo pubblichiamo di seguito.

Gentilissima, comprendiamo e condividiamo il suo sconforto e la sua preoccupazione più che motivata. Il problema della carenza degli strumenti di protezione individuale riguarda purtroppo anche medici, infermieri e soccorritori.

Questo certo non consola nessuno ma è un fatto cui si cerca di porre rimedio. Le istituzioni cercano di fronteggiare quanto possibile questa situazione.

Da parte nostra purtroppo non ne abbiamo a disposizione da poter distribuire e possiamo solo suggerirle di contattare il servizio della regione che si occupa proprio e solo del rifornimento di mascherine a chi ne faccia richiesta a questo indirizzo mail coronavirusrl@regione.lombardia.it

Oltre a ciò ho ricevuto segnalazione che alcune aziende nella zona di Bergamo le stanno producendo e anche in altre regioni. Capisco che giustamente ci si aspetterebbe che venissero fornite dalle strutture predisposte a ciò, ma a mali estremi estremi rimedi e forse potete muovervi in autonomia, risparmiando tempo e evitando situazioni gravi.

Speriamo di poterle essere stati di aiuto e restiamo a sua disposizione anche telefonicamente.

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