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“Parco mai sentito”. Eppure per il Pulesin il programma di Rapinese prometteva un futuro verde

“Il parco del Pulesin? Mai sentito nominare”. Così il sindaco Alessandro Rapinese ha risposto alle proteste di decine di cittadini contrari all’ipotesi di un autosilo nell’area verde tra via Borgovico e l’inizio di via Bellinzona (QUI la cronaca). Una risposta fulminante, certo, ma che ha lasciato interdetti molti, soprattutto perché proprio lui – unico tra tutti i candidati – nel suo programma elettorale del 2017 al Pulesin ci aveva pensato eccome.

Già, perché basta andare al punto 17 del programma elettorale di allora, firmato “Rapinese Sindaco”, per scoprire che il Pulesin non solo era ben noto, ma persino valorizzato: lì si prometteva infatti di realizzare una grande area cani, facilmente raggiungibile, dotata di parcheggi e pensata per chi “ha bisogno di spazi più grandi”.

Ora, non vogliamo essere maliziosi. Tutti possiamo dimenticare qualcosa: le chiavi di casa, il compleanno del cognato, una promessa elettorale di otto anni fa. Ma c’è una differenza tra una dimenticanza e quella che potremmo chiamare – senza offesa – memoria selettiva. Un’arte sottile che consiste nel ricordare solo ciò che fa comodo, dimenticando con sorprendente agilità tutto il resto. Come, per esempio, che quello che oggi “non esiste”, ieri meritava un punto del proprio programma.

Sia chiaro, tecnicamente il Pulesin non è un “parco” ufficiale – niente targhe, vialetti, panchine – e sicuramente non è il parco di Villa Olmo né quello della Spina Verde. Ma tra “parco”, “area verde”, “zona con alberi”, quello che cambia è il nome, non la sostanza. Ed è la sostanza a contare: un angolo di pace, con alberi di pregio, frequentato da chi ci vive intorno. Uno spazio che forse non compare nei dépliant turistici, ma che ha un valore reale per i cittadini. E i cittadini, si sa, non gradiscono sentirsi trattati da fastidiose zanzare da scacciare solo perché fanno domande, esprimono dubbi o – udite udite – si interessano al futuro della loro città.

E forse, più che una battuta sulla definizione, meriterebbero una riflessione sul valore che quello spazio ha per il quartiere.
Certo, discutere è lecito. Cambiare idea anche. Ma serve un po’ di coerenza, soprattutto quando i luoghi “mai sentiti” si trovavano nei propri programmi elettorali, sebbene passati. E forse, prima di bollare tutto come una “campagna denigratoria”, sarebbe utile fermarsi un attimo ad ascoltare. Magari anche solo per ricordare che amministrare una città richiede dialogo, anche (e soprattutto) con chi la pensa diversamente. Non battute.

In fondo, caro Sindaco, nessuno le chiede l’impossibile. Solo di riconoscere che a Como esistono anche luoghi senza nome altisonante, ma con un’anima. E persone che meritano rispetto e ascolto, non giochi di parole.

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