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Rapinese, l’album di famiglia con le foto strappate e la Provincia: che somiglianza con i partiti classici

La cosa fantastica è che se nell’arco di 18 mesi appena, due assessori fossero stati cacciati e un terzo si fosse dimesso in una qualsiasi giunta pluripartito degli ultimi decenni, si sarebbe discusso per giorni di crisi politica, situazione insostenibile, personalismi sfrenati, manovre di bottega sulle spalle dei cittadini, intrighi di palazzo per giochi di poltrone. E invece se accade nella squadra (già stravolta per il 30%) del sindaco Alessandro Rapinese – tra scossoni e fratture assolutamente paragonabili a quelli dei tempi in cui a governare Como c’erano la Dc, il Psi, il Pd o Forza Italia – non si legge un commento, un editoriale, un’analisi, qualche domanda rivolta al primo cittadino (noi reietti non possiamo farlo, come noto). Il quale, anzi, anche nel mattinale di oggi, esattamente come 10 giorni fa con le dimissioni di Nicoletta Anselmi, non parla a caldo, come sarebbe logico, dei terremoti che continuano a scuotere la sua giunta ma in compenso discetta come se nulla fosse del Giro di Lombardia e del problema del passaggio da Civiglio. Un classicissimo: il grandissimo oratore, ogni volta che un pezzo di giunta crolla, nella scomoda immediatezza scopre la continenza verbale (salvo mediamente recuperare quando e come vuole, con chi vuole, secondo i tempi che vuole, con lenzuolate autoassolutorie). Eppure conoscere qualche dettaglio nel merito delle accuse generiche ma pesantissime rivolte tramite atto burocratico a Quagliarini sul fatto di lavorare poco, di non cogliere risultati, di incrinare gli equilibri di giunta, di mettere a rischio programma e mandato, forse aveva un certo interesse pubblico, no?

Questioni di forma, si dirà. No invece: è la sostanza di un concetto. Parafrasando lo slogan storico di Rapinese “La politica è una cosa magnifica. Ciò che non funziona sono i partiti”, si potrebbe dire che la “La politica è una cosa magnifica, ciò che non funziona sono i partiti esattamente come le liste civiche sindacocratiche”. Accadono dimissioni, revoche, siluramenti, ripescaggi e rimpasti nei partiti; accadono dimissioni, revoche, siluramenti, ripescaggi e rimpasti nelle giunte civiche e nelle liste civiche. Né più, né meno. Se si esclude che però, almeno, nelle coalizioni formate da più partiti – che pure senza dubbio hanno offerto pessime prove di sé a Como negli ultimi lustri – esistono inevitabili meccanismi di confronto e democrazia che per paradosso garantiscono una maggiore trasparenza ai momenti di crisi. Se non altro per la presenza di più voci.

Oggi, al contrario, a Palazzo Cernezzi, tutto dipende solo e unicamente dal volere e dalle corde vocali di una persona, nel silenzio oscuro e tombale di tutti gli altri. Non si sa nemmeno se per paura, fideistica adesione alla causa o sudditanza. Ma l’opacità di quanto accade politicamente nel movimento che governa quel palazzo è ai massimi di ogni tempo (e, su un altro versante, certo non segna chissà quale distanza tra la lista civica e i partiti classici, l’ultima manovra di Rapinese per ‘prendersi’ anche l’amministrazione provinciale: politicismo purissimo intessuto di contatti, trattative, ricerca di firme, appoggi e logiche di potere che forse nemmeno ai tempi dello scudocrociato. Assolutamente niente di male in sé, ovviamente, solo un discreto colpo al mito del vascello solitario e diverso da tutto e tutti).

Un ultimo appunto. Nel corso di nemmeno tre anni, Rapinese è arrivato a cacciare o comunque a perdere Paolo Martinelli, Ada Mantovani, Ivan Matteo Lombardi, Nicoletta Anselmi, Francesca Quagliarini, componendo un album di famiglia con foto strappate davvero impegnativo. Tutti, tra l’altro, prima delle furibonde cacciate o delle improvvise dimissioni, erano definibili ‘fedelissimi’ o almeno ‘vicinissimi’ all’ex consigliere di opposizione e all’attuale sindaco. Non c’è niente di nuovo, in questo fenomeno: come già detto, i grandi strappi hanno segnato da sempre anche la storia dei partiti classici. Ed è quello il punto: in queste cose, cioè nella politica che è ‘una cosa bellissima’, queste logiche sono inevitabili. Ovunque. La differenza è ‘solamente’ se avvengono a conclusione di scontri, confronti, divisioni tra più soggetti, nel solco classico della parola democrazia, oppure se promanano dalla concezione tanto cara a Luigi XIV, che qui potremmo parafrasare in “Como c’est moi”, altisonante premessa per il ben più popolare motto reso eterno da Alberto Sordi nel 1981.

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5 Commenti

  1. Al di là della personalità diciamo “estrema” del ns, il tema di fondo è il perimetro dei ruoli e funzioni definito dalla sciagurata riforma Bassanini, che ha tolto poteri ai consiglieri e al consiglio comunale trasferendoli al Sindaco “benedetto dal popolo”

  2. Il giornale della città affida la scottante questione alla biografa di Rapi, senza, appunto, uno straccio di commento o punto di vista. Meglio dare la notizia e subito passare al “piano asfalti”, giusto per aggiungere un diversivo che possa bilanciare la voragine editoriale. Soltanto pochi anni fa, con qualsiasi sindaco di destra o di sinistra, un simile atteggiamento giornalistico sarebbe apparso semplicemente assurdo. Oggi, passa tutto come se fosse la normalità.

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