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Solidarietà e Sociale

Questo bar comasco racconta un mondo migliore. E il caffè è piacere, gentilezza e inclusione: “Qui siamo felici” (Video)

C’è un bar a Tavernerio dove un caffè vale più di un semplice gesto quotidiano. È il bar del centro civico, gestito dalla cooperativa Il Gelso, dove ogni giorno il profumo di cappuccini si mescola alle storie di inclusione, autonomia e fiducia reciproca.

“Siamo partiti da zero, ma con il cuore pieno”

“Gestisco questo locale insieme alla cooperativa Il Gelso – racconta Cinzia Annunziata, anima del bar e guida del gruppo – Tutto è iniziato per puro caso. C’era una gara d’appalto e abbiamo deciso di partecipare, anche se fino a quel momento ci occupavamo solo di pulizie, educatori e bibliotecari. Il settore della ristorazione era nuovo per noi, ma io avevo già lavorato per qualche anno in quel campo. Così abbiamo provato e abbiamo vinto”.

Da quella vittoria è nata un’avventura fatta di lavoro, formazione e solidarietà. “Siamo partiti da zero, con le nostre mani. L’obiettivo era creare inserimenti lavorativi per ragazzi con disabilità, dando loro l’opportunità di fare tirocini scolastici o percorsi formativi protetti, in collaborazione con le scuole e con Ernesto Ronchi, che segue i progetti educativi. Da lì è partito tutto: la prima assunzione è stata Davide, poi è arrivata Sabrina. Era il 2018, e da allora ne abbiamo fatta di strada”.

Oggi, nel piccolo bar del centro civico, lavorano in quattro. “Ci siamo io, Davide, Sabrina e altre due persone inserite tramite percorsi lavorativi – spiega Cinzia – ospitiamo periodicamente anche ragazzi delle scuole: a novembre, per esempio, ne arriveranno due, uno al mattino e uno al pomeriggio. C’è anche una ragazza del collocamento mirato che viene due volte a settimana”.

Ma il bar non è solo un luogo di lavoro: è una palestra di vita. “Le richieste sono tante, ma possiamo accogliere solo un numero limitato di persone, perché bisogna garantire la giusta attenzione a ciascuno. Dipende molto dalle problematiche del singolo: alcuni sono autonomi, altri hanno bisogno di un educatore di supporto. Per esempio, l’anno scorso abbiamo avuto un ragazzo che restava cinque mesi con noi, ma necessitava della presenza costante di un’educatrice. Altri, invece, come Amira, riescono a gestirsi da soli”.

“Qui mi sento tranquilla, non ho paura di sbagliare”

Dietro il bancone, Davide Maniscalco e Sabrina De Domenicis sono ormai due pilastri della squadra. “Mi chiamo Davide e lavoro qui al bar da sei anni – racconta lui, con un grande sorriso – Ho iniziato facendo qualche prova, poi mi hanno assunto a tempo indeterminato. Mi occupo del banco, preparo i caffè, i cappuccini, a volte anche gli spritz. Mi piace stare qui perché l’ambiente è tranquillo, ci sono persone gentili e clienti che vengono tutti i giorni“.

“All’inizio ero un po’ nervoso, perché non sapevo se sarei riuscito a stare dietro a tutto, ma con il tempo ho imparato – continua – Cinzia mi ha insegnato molto, con pazienza. Ora so gestire il bar anche da solo. Preparo tutto, metto a posto, poi iniziano ad arrivare i clienti. Quando siamo qui tutti insieme, c’è sempre un bel clima: si lavora, ma si ride anche“.

Davide sottolinea cosa rappresenti per lui questo lavoro: “Significa indipendenza è una bella soddisfazione. A volte è stancante, ma non mi lamento. Mi piace quello che faccio e mi trovo bene con tutti. Cinzia ci tratta come una famiglia. E poi questo posto è bello: ci sono bambini, genitori, anziani. Non è un bar come gli altri, è più tranquillo”.

Accanto a lui, Sabrina sorride timida: “Io lavoro qui da cinque anni. Faccio un po’ di tutto: preparo i caffè, servo ai tavoli, metto a posto, pulisco, do una mano dove serve. Mi piace perché è un lavoro vario, non si sta mai fermi“.

“Con Davide andiamo molto d’accordo – aggiunge – Anche Cinzia mi aiuta tanto: mi dice ‘non ti preoccupare, rifallo piano piano‘”. Oggi Sabrina ha trovato sicurezza e fiducia. “Mi piace lavorare con i miei amici, qui conosco tutti, mi salutano, mi chiedono come sto. Qui dentro mi sento tranquilla, non ho paura di sbagliare”.

“Una piccola comunità dove nessuno resta indietro”

Per Cinzia, vedere i ragazzi crescere è la più grande ricompensa. “È una soddisfazione enorme vederli migliorare giorno dopo giorno. Io non sono un’educatrice, sono una mamma, e vedere questi ragazzi diventare indipendenti mi riempie il cuore. All’inizio è stata dura: ho dovuto creare schemi e tabelle di lavoro. Ma ora, se io non ci sono, sanno cosa fare. È stato un lungo percorso, ma ne vale la pena”.

Sorride ricordando un episodio speciale: “Un Capodanno non lo dimenticherò mai. Tutti in camicia bianca, farfallino e grembiulino, servivano ai tavoli in fila ordinata, sembrava un ristorante di gala. Quando li vedo così, anche se sto qui dalle sette del mattino a mezzanotte, non mi pesa”.

E poi ci sono le storie come quella di Amira. “All’inizio era chiusa, non guardava le persone, a volte arrivava e se ne andava via. Oggi sorride, riconosce l’ambiente, si sente a casa. È una gioia immensa”.

Il bar si sostiene da solo, senza contributi pubblici. “Non abbiamo aiuti dal Comune: il bar deve camminare con le proprie gambe. Ci sosteniamo con gli eventi e i catering: feste di compleanno, cene, rinfreschi aziendali. Collaboriamo spesso con l’ospedale Sant’Anna: solo quest’anno abbiamo fatto cinque catering per loro. Ora facciamo due o tre catering al mese per altre aziende, è faticoso, ma bellissimo”.

“Vivi Civico è un luogo dove l’inclusione diventa quotidianità”

Appena di fianco al bar, c’è un campetto dove ha trovato casa il progetto Vivi Civico, nato nel 2019, un’iniziativa che ha dato nuova linfa all’inclusione sociale e lavorativa. “Lavoravamo già con ragazzi con disabilità, ma volevamo andare oltre la scuola – spiega Ernesto Ronchi, educatore – Volevamo creare uno spazio dove potessero stare con i coetanei, condividere momenti di vita quotidiana, ridere, giocare. Da subito è stato chiaro che il progetto camminava su due gambe: inclusione lavorativa e sociale insieme”.

Durante la pandemia, anche online, la comunità non si è fermata. “Per molti ragazzi era l’unico spazio di socialità possibile. Ci collegavamo in piccoli gruppi, ridevamo, parlavamo. Da lì siamo cresciuti”.

Oggi Vivi Civico conta circa settanta ragazzi con disabilità e una quarantina di coetanei coinvolti. “Facciamo laboratori di teatro, arteterapia, pet therapy. Con l’Unicef realizziamo le pigotte, con l’Altabrianza Calcio organizziamo allenamenti inclusivi. L’obiettivo è semplice: creare tempo libero vero. Non solo per potenziare le autonomie, ma per rompere quella bolla che spesso li isola“.

“Chi entra qui – dice Ernesto – di solito non distingue chi ha una disabilità e chi no. È questa la cosa più bella: l’inclusione che diventa spontanea”.

E aggiunge: “Molti giovani arrivano qui come volontari e finiscono per restare. Alcuni scelgono di lavorare nell’ambito educativo, altri rimangono come amici. Vivi Civico è una palestra di vita”.

I giovani educatori: crescere insieme ai ragazzi

Due ragazzi che hanno scelto di trasformare la loro esperienza da volontari in una professione sono Francesca Sala, 19 anni, e Omar Pasini, 21. “Io conoscevo già Ernesto – racconta Omar – Mi ha introdotto lui a questo posto. All’inizio davo una mano come volontario, poi mi sono reso conto che quello che stavo facendo aveva un valore enorme. È stata un’esperienza determinante per capire che volevo farlo anche come lavoro“.

Anche per Francesca, l’inizio è stato casuale: “Io andavo a scuola con una ragazza che già frequentava il progetto – spiega – All’inizio venivo solo alle feste, tipo quella di Natale. Poi piano piano ho iniziato a dare una mano, prima come volontaria e ora come dipendente. Frequentando il Civico da tre anni mi sono avvicinata alla realtà della disabilità, ma anche in generale all’aiuto verso l’altro. Così, una volta finita la scuola, ho deciso di farne la mia professione”.

Omar aggiunge una riflessione che racchiude il senso del loro lavoro: “Secondo me, la cosa più importante, sia nel progetto Vivi Civico che nel lavoro da educatore, è creare una relazione con i ragazzi. Una relazione che li faccia crescere, che li aiuti nella loro vita quotidiana, nei piccoli e grandi passi. Ma è una relazione doppia: aiuta anche te stesso. Ti fa capire tante cose di te e del mondo. Aiutando gli altri, alla fine, aiuti anche te stesso. Trovando un senso per gli altri, lo trovi anche per te”.

“Venite a trovarci, non per me, ma per loro”

Oggi il bar del centro civico è un punto d’incontro, un piccolo mondo dove tutti hanno un posto. “Quando vedo i ragazzi lavorare insieme ai loro coetanei, magari durante un compleanno o un evento, capisco che tutto questo ha senso – dice Cinzia – Questo posto è diventato una piccola comunità“.

Il suo sogno è semplice ma potente: “Vorrei che la cooperativa potesse creare ancora più inserimenti lavorativi. Nel mondo del lavoro ci sono poche opportunità per questi ragazzi, eppure molti di loro hanno capacità reali. Magari non possono lavorare otto ore al giorno, ma in piccoli contesti sì”.

Poi conclude con un invito che racchiude lo spirito di tutto il progetto: “Venite a trovarci. Non per me, ma per loro. Più persone ci conoscono, più possibilità avremo di dare ad altri ragazzi una chance. Questo è il vero scopo del nostro lavoro”.

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