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Camilla, l’università in casa dalla colazione al Pc: “Voglio i prof, i compagni, la biblioteca. Noi, studenti invisibili ma il nostro futuro è il vostro”

Lei è Camilla Grasso.

E’ una studentessa universitaria, è di Como e ha qualcosa da dire. Lo ha fatto con una lettera inviata alla stampa.

Sono parole drammaticamente lucenti (ha 20 anni, vivaddio!) e impastate, giocoforza, dal racconto della pandemia, del vuoto, della perdita delle relazioni.

Relazioni didattiche qualcuno penserà visto che si parla di ateneo, ma bisogna dire umane e culturali. Ché la formazione, lo studio, non è direzione univoca e passiva ma un sistema che allaccia le persone nel profondo e non parla solo di lezione-studio-esame.

E’ un anno che si vive di lock e down, stop e go, di cromatismi, semicolori, rafforzamento dei medesimi. Tutto questo non schianta solo sul lavoro, sul mercato, sull’economia. Schianta anche, e soprattutto, su chi alla vita s’affaccia e, di diritto, come noialtri prima, s’attende qualcosa che non sia, pure alla luce di un oggettivo disastro mondiale, un confinamento costante, senza orizzonte.

Ecco le parole di Camilla:

Buonasera, sono una ragazza di Como, di 20 anni, ma soprattutto sono una studentessa universitaria.

L’anno scorso dopo i miei primi (e ultimi) tre mesi in università mi piaceva definirmi come una fiera frequentante, oggi, però, ho la sensazione che questa parola non abbia più senso.

4 marzo 2021, dopo un anno passato davanti al computer, dopo mesi di false speranze di ritorno in presenza e dopo solo due settimane di lezioni frontali, mi ritrovo con i cancelli della mia università nuovamente chiusi.

Non mi piacciono le lamentele tanto per e non le ho mai fatte, ho sempre rispettato ogni persona, decisione, Dpcm, normativa, idea, teoria scientifica ecc. E l’ho sempre fatto positivamente, convinta che questo avrebbe portato a un cambiamento.

Questa sera, però, ho perso questa convinzione, mi sento demoralizzata e ho una cosa che voglio dire e voglio farlo a voce alta!

Voglio che tutti sappiano che se si vuole avere un futuro migliore di quello che stiamo vivendo bisogna dar la possibilità agli studenti di frequentare le proprie Università.

Immagino che tutti voi che avete vissuto l’università siete consapevoli del fatto che ci sono diversi elementi fondamentali per compiere uno studio efficace, apprendere fino in fondo e accrescere se stessi e di certo questo non avviene solo tramite un’asettica lezione online e un faticoso studio sui libri (dopo essersi spostati, una volta finita la colazione, dal tavolo in cucina alla scrivania in sala).

Quello che fa la differenza, che stimola le nostre menti, che innalza le ambizioni sono le discussioni con i prof dopo che guardandoti negli occhi hanno capito che non hai compreso l’argomento, i confronti con i compagni dopo una lezione, i dibattiti in cui dimostrare di aver gli strumenti per portare avanti le proprie idee, lo studio in biblioteca e potrei andare avanti all’infinito…

Tutto questo ci è stato tolto e per questo non abbiamo più spinta nello studiare e nel prepararci a gestire quello che sarà il nostro, ma anche il vostro futuro, perché ora come ora non lo vediamo.

A quanto pare però la scelta più facile di tutte sulle chiusure è sempre quella rivolta all’istruzione: le scuole chiudono a prescindere, mentre sui centri commerciali si riflette. Lo ammetto, sui licei e le scuole di gradi inferiori si sta discutendo molto, ma le università? Perché non c’è mai un titolo a riguardo? Perché non se ne parla?

Per questo ti scrivo. Ti, vi chiedo aiuto, da parte mia ma anche di tutti gli studenti universitari; abbiamo bisogno che qualcuno parli, dibatta e ci aiuti a farci sentire.

Poi magari la decisione sarà quella di tener chiuso e lo accetteremo, come abbiamo sempre fatto, ma per una volta, parlate anche di noi, una generazione ormai, come dice un mio prof, meglio definibile come “invisibile” piuttosto che “Z”.

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