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Coronavirus – Vita di Antonello: “Io comasco, infermiere in Ticino. Paura, dovere, la valigia in auto. Viviamo alla giornata”

L’emergenza Coronavirus ha obbligato numerosissimi lavoratori italiani a casa tra smartworking, ferie, permessi e ammortizzatori sociali.

Altri (molti) non possono sottrarsi e devono lavorare per garantire i servizi essenziali.

Succede qui e succede succede in Ticino, dove nelle ultime ore le restrizioni sono state drasticamente rafforzate:

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Tra i settori in cui l’#iorestoacasa, giocoforza, non può essere applicato, in primis c’è la sanità. Anche in questo caso, vale in Italia, altrettanto in Svizzera.

Per dare un’idea di come la situazione stia evolvendo oltredogana, abbiamo sentito un frontaliere comasco, infermiere a bordo delle ambulanze elvetiche. Lo chiameremo Antonello perché, ovviamente, ne tuteliamo il completo anonimato.

“La situazione ora è strana, un po’ assurda – racconta Antonello – Siamo obbligati a fare avanti e indietro, ma viviamo con la valigia in macchina perché potrebbero chiederci di rimanere in Svizzera da un momento all’altro. Qui non è ancora esploso il contagio ma temo che, vedendo i numeri attuali di casi e le richieste che ci arrivano quotidianamente, potrebbe succedere in questi giorni o la prossima settimana. I casi in aumento, insieme all’attivazione, un po’ tardiva, delle misure di contenimento del contagio, stanno facendo evolvere la situazione come in Italia”.

Il Consiglio di Stato svizzero, infatti, ha deciso di adottare misure estreme solamente a partire da sabato 14 marzo. Si tratta di una serie di provvedimenti assimilabili a quelli presi da parte del Governo Conte per il territorio italiano.

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Quanto emerge dalle parole di Antonello è sicuramente un grande amore per il  lavoro unito un profondo senso responsabilità.

“Io starei a casa perché ho, come tutti, paura di poter prendere o diffondere la malattia- continua – ma proprio non è possibile per il mestiere che svolgo. A livello etico mi sono posto il problema di poter essere un veicolo del Coronavirus, quindi ho ridotto i contatti e gli spostamenti, che appunto sono solo per lavoro”.

“Alcuni amici frontalieri si sono già trasferiti in Ticino – spiega, offrendo una misura dell’impatto sui frontalieri sanitari – per essere più vicini a dove operano. E’ una cosa cui ho pensato ma, insieme ad altri colleghi italiani, ho deciso che rimarrò oltre confine se me lo dovessero chiedere, soprattutto per una questione di reperibilità. Al momento stiamo vivendo alla giornata, arrangiandoci giorno per giorno, se la situazione dovesse peggiorare siamo pronti a restare operativi per non creare disservizi”.

Per quanto riguarda i casi positivi al virus, in aumento anche in Svizzera, Antonello è testimone diretto e quotidiano.

“In questo momento stanno aumentando in modo esponenziale gli interventi in ambulanza – racconta – gli ospedali svizzeri sono pieni di richieste, perciò anche noi operatori sanitari siamo un po’ in ansia. Rispetto all’Italia, comunque, in Ticino si vive ancora abbastanza bene e la gente non storce il naso quando interveniamo, pur sapendo che siamo italiani”.

“Secondo quanto riferito da alcuni amici, invece, nell’assistenza domiciliare – chiude Antonello – ci sono stati alcuni casi di persone che non erano felici del servizio prestato da operatori provenienti dall’Italia. Fortunatamente, per ora non ho ancora avuto esperienza di casi simili durante il mio lavoro in ambulanza: la gente, quando ti chiama, sa che sei lì per prestare aiuto e quindi ti sostiene”.

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Un commento

  1. Io mi ricordo solo che tutti quelli che sono andati in Ticino come infermieri o medici di sicuro non lo hanno fatto perché gli mancava il posto in Italia ma perché gli conveniva economicamente… Comunque in Italia adesso c’è un grande bisogno invece di andare a stare in Ticino potrebbero pensare di tornare all’ovile!

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