Si incappa, per certi malcostumi del giornalismo, in retoriche comode tipo “il testamento di”, “le ultime parole”.
Ecco, sotto questi brutali (anzi, solo stupidi) modi di cavarsela facile, Emilio Russo, sicuro, avrebbe tirato un triplo rigo rosso con il matitone. E avrebbe avuto straragione.
E’ morto il prof, scrittore, giornalista, saggista, politico. Le cronache sono conosciute:
Ha scritto diverse volte su queste pagine, era nostro amico da tanto tempo. E noi siamo molto, molto tristi.
Il 15 settembre, poco prima di partire per i sentieri dell’amata Lezzeno (cui avrebbe dedicato il prossimo romanzo: lo raccontiamo qui), ha pubblicato alcune righe, parlando della morte di don Roberto Malgesini, ammazzato poche ore prima.
Non è un testamento, non sono le ultime parole.
E’ il pensiero di un uomo da sempre libero che stava per andare a far quanto gli riusciva meglio: studiare, percepire, guardare, toccare e solo dopo raccontare, senza mediazioni.
Con l’eleganza raffinata e la forza fiera di una mente potente e mai schiava, nutrita da una cultura gigantesca.
Per questo non aveva paura, l’Emilio. E faceva bene.
Ecco:
L’uccisione di don Roberto Malgesini, il “prete di strada”, avvenuta questa mattina a Como suscita grande dolore e sconcerto.
Come era prevedibile, lo smantellamento del campo profughi di via Regina disposto dal decreto voluto da Salvini ha aggravato la situazione di centinaia di persone abbandonate a se stesse.
Non si può accettare che il tema dell’immigrazione sia affrontato a Como come uno scontro continuo tra “buonisti” e “cattivi” e che la città finisca continuamente nelle cronache per il grave clima di scontro che si è andato determinando.
La politica deve assumersi le proprie responsabilità. Istituzioni e partiti nazionali sono chiamati a fare la loro parte. Non nascondiamoci che la politica verso l’immigrazione (ius soli, decreti “sicurezza” ecc.) è un grande buco nero di questo governo.