C’era una volta un tesoro, mille monete d’oro sepolte da secoli che aspettavano solo di essere ritrovate.
E c’era una volta una città che sembrava solo aspettare il loro ritorno per poter risvegliare il suo museo archeologico, come il bacio di un principe che sveglia finalmente la Bella Addormentata.
Ma dietro la facciata di quello che fu il palazzo della famiglia Giovio, tra sale affrescate e scaloni, ci sono porte segrete che portano a torrette e sottotetti dove già si nasconde un tesoro che solo pochi conoscono.
Sono i depositi, luoghi silenziosi fatti di scaffali metallici in cui il freddo da camera mortuaria non deve ingannare: qui la vita pulsa e, a tendere l’orecchio, sembra di sentir raccontare le mille storie racchiuse in ognuna di quelle cassette tutte uguali.
“Solo tra protostorico e romano, nei depositi sono conservati più di 30 mila pezzi – spiega la Conservatrice del museo Marina Uboldi – a questi si aggiungono collezioni come quelle di Regazzoni o Garovaglio, che da sola ne conta circa 10 mila”.
Un tesoro sconfinato che però, in molti casi parla una lingua che solo pochi conoscono e che è impossibile pensare di esporre al pubblico: “Dire 30 mila pezzi nascosti nei depositi può suonare impressionante – chiarisce Uboldi – ma non dobbiamo immaginarci 30 mila opere d’arte fatte e finite. In moltissimi casi si tratta di frammenti ritrovati nel corso degli scavi che vengono catalogati e conservati perché ognuno di loro aggiunge un tassello importante alla nostra storia”.
“Spesso utilizziamo anche cassette e scatole che possono sembrare improvvisate – prosegue – ma sono stratagemmi necessari per ospitare pezzi fuori misura rispetto alle cassette standard. E anche il freddo non deve sembrare una mancanza di attenzione: le ceramiche non necessitano di particolare climatizzazione al contrario dei bronzi, che infatti si trovano in depositi a temperatura controllata”.
E proprio in uno di questi depositi, tra tanti pezzi destinati solo ad essere studiati dagli archeologi, ecco comparire due meraviglie che meriterebbero, loro sì, di essere ammirate da tutti: “Si tratta di un grande vaso e di un braciere etruschi in bronzo appartenenti alla collezione Garovaglio – spiega – sono stati fatti anche degli investimenti per restaurarli e sono stati esposti nel 2005 in occasione di una mostra ma da allora, purtroppo, sono nei depositi”.
Ma tra bronzi, anfore e marmi ecco un incontro che mai ti aspetteresti di fare in un museo archeologico a Como: quasi cento tra scatole e imballi capaci di far dimenticare di essere all’ombra del Baradello per trasportarci lontano, fin nella Valle degli Spiriti sulle rive del fiume Sepik, in Nuova Guinea.
Qui infatti è conservata una splendida collezione che tra statue, strumenti musicali, maschere e gioielli racconta la passione per l’arte etnica di Margarete Anne Schafer, imprenditrice tedesca con villa sul lago, che tra gli anni ’50 e gli anni ’70 li raccolse personalmente nel corso dei suoi viaggi.
La collezione, ceduta alla Regione Lombardia dopo la morte della sua proprietaria, è stata esposta solo una volta nel 2004 in occasione di una grande mostra e da allora è conservata qui, come molti altri tesori.
“Al di là dei pezzi meno significativi per il pubblico, oggi è impossibile pensare di esporre altro nelle sale del museo – spiega Uboldi – occorrerebbe ripensare l’allestimento, che per la parte protostorica risale al 1998, e un’occasione potrebbe essere offerta dai prossimi lavori di adeguamento degli impianti. Chissà”. Ma sperando di vedere esposti almeno alcuni di questi pezzi, basti sapere che, in attesa delle monete d’oro del Cressoni, in museo c’è già un (ricchissimo) tesoro.