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Le nozze in Comune, i like, i cuoricini. Ma l’amore di Como per Silvia e Alessandro è ancora questo

Foto in copertina gentilmente concessa da Gian Franco Moretti

Il clamore intorno alla loro storia, raccontata da Comozero, stato tanto: articoli e servizi un po’ ovunque da Repubblica a Vanity Fair passando per Tgcom24. L’amore di Silvia e Alessandro, “gli sposini clochard”, come tanti li chiamano dopo che la notizia del loro matrimonio a fine maggio aveva fatto commuovere tutti, ha mosso fiumi di inchiostro, like e cuoricini virtuali ma non ha mosso nulla di concreto per portarli via da una vita di coperte sui marciapiedi e borse di plastica a contenere tutte le loro poche cose.

“Forse non lo sai ma pure questo è amore”: la strada, una bimba perduta, gli altri. Domattina Silvia e Ale si sposano ed è bellissimo

“Continuiamo a dormire sotto i portici vicino al palazzo della Regione in viale Varese – racconta Silvia – io, che ho problemi di deambulazione, resto lì h24 a curare gli zaini perché, da quando ha chiuso il dormitorio, non abbiamo neanche più un posto dove lasciarli. E se devo andare in bagno chiamo mio marito perché venga a darmi il cambio e vado in un bar qui vicino”.

All’orizzonte, da un paio di giorni, una flebile luce di speranza dopo la telefonata del Centro per l’Impiego che potrebbe aver trovato un lavoro per Alessandro: “Non conosciamo i dettagli, sappiamo solo che adesso deve attivarsi l’assistente sociale e speriamo che presto ci dicano qualcosa”, dice Silvia.

Nel frattempo, però, il miraggio di un posto dove vivere che non sia il portico di un condominio è ancora lontano, con tutti i disagi che ne derivano: “All’inizio del mese, quando ricevo la pensione di invalidità, la spendiamo per dormire qualche notte in albergo, così almeno possiamo farci una doccia come si deve e tirare un po’ il fiato – dice – per il resto ci arrangiamo usando le salviettine umidificate, fa caldo e non è possibile non lavarsi”.

E le docce pubbliche di via Sirtori? “Abbiamo un buono settimanale per utilizzarle ma abbiamo ricevuto una diffida e non possiamo più andare lì – racconta Silvia – questo perché le docce per disabili sono fuori uso e mio marito ha chiesto di poter entrare con me per aiutarmi, visto che faccio fatica a stare in piedi da sola. L’hanno accusato di voler fare il furbo e di volersi lavare insieme a me per utilizzare un solo buono in due e così ci tocca andare ai bagni di Ponte Chiasso”.

Una storia emblematica, la loro, ma solo una tra le tante che portici e panchine di Como nascondono. E poco importa se la responsabilità è di un altro ufficio, di un altro Comune o di un’altra nazione. Lasciare che nulla cambi è già di per sé una colpa.

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