“L’essenza di un comasco risiede nella sua laboriosità, c’è sempre un domani da affrontare. Una comunità emotivamente educata alla riservatezza da non confondere con la chiusura, perché dietro alla necessità di ponderare gli slanci si nascondono anime generose”.
Poche parole per descrivere il carattere di un’intera comunità che Adriano Giudici, settantenne e presidente dell’associazione culturale Famiglia Comasca, rappresenta pienamente. “Ho vissuto i primi anni in via Milano – racconta – ricordo il cortile dove giocavo con gli amici, le chiacchiere delle mamme, il bar Favoni dove il sabato sera si guardava Il Musichiere, i generi alimentari delle sorelle Ballerini e di Bargna, il bar del signor Ezio, l’antro della drogheria Conti, il cartolaio con i pastelli Caran d’Ache, l’uomo che portava il ghiaccio e lo straccivendolo che ritirava gli oggetti da buttare. Un microcosmo di aiuto reciproco”.
Durante l’infanzia stringe amicizia con Renzo Albonico con cui, nel 2015, scrive il libro “Noi c’eravamo”, una raccolta di episodi autobiografici legati ai quartieri comaschi. A dodici anni si trasferisce a Sagnino e successivamente a Monte Olimpino, Rebbio, Brunate per poi rientrare a Como città, esplorando diversi sguardi della comunità.
“Ho frequentato – continua – le elementari alle scuole Cesare Battisti e Severino Gobbi, le medie agli istituti Giuseppe Parini e Ugo Foscolo infine gli studi superiori al Caio Plinio – un sorriso scanzonato accende il volto – le scuole comasche di quegli anni prevedevano una forte disciplina che non sempre avevo”.
Alla fine degli anni ’60, come molti comaschi, Adriano traffica piccole quantità di sigarette prese in Svizzera e rivendute in Italia. “Volevo pagarmi la gita scolastica a Parigi – ricorda ridendo – a quel tempo la dogana aveva istituito la tessera di passaggio che limitava i viaggi in Svizzera. Per ovviare a questo usavo le tessere di familiari e amici. Una volta – ricorda con uno sguardo adolescenziale mai perduto – mi sono imbottito di sigarette sotto l’impermeabile. Errore fatale che mi è costato un verbale dai finanzieri!”.
Il sogno parigino si realizza e negli anni successivi entra in Banco Lariano rifiutando una proposta di lavoro del Cavalier Antonio Ratti. “Una scelta difficile, ammiravo il Cavaliere – commenta ancora sopraffatto dal dubbio – ma con mia moglie Ada optammo per il lavoro in banca perché rappresentava una sicurezza. Ho visto i fasti e le crisi dell’economia comasca fino al prepensionamento a 56 anni. Ma non è nelle corde di un comasco l’inattività così ho lavorato per altri tre anni in Banca BCC e come socio di un ristorante”.
Giunto al pensionamento, Adriano si dedica pienamente a Famiglia Comasca, associazione che dal 1969 sostiene la cultura della città.
“Promuoviamo corsi di dialetto, progetti editoriali e manifestazioni culturali di vario tipo – commenta soddisfatto – desideriamo salvaguardare e tramandare alle nuove generazioni il nostro patrimonio culturale, l’identità comasca”.
Adriano entra in Famiglia Comasca a 32 anni rivestendo vari ruoli fino alla nomina di presidente nel 2018.
“Ne sono orgoglioso – conclude – Famiglia Comasca promuove la cultura e l’inclusione. Negli anni ha favorito l’incontro tra i comaschi e coloro che provenivano da altre regioni d’Italia e dal 2004 collabora con il Comune per il gemellaggio con la città giapponese Tokamachi. Sarebbe bello proseguire su questa strada e collaborare con associazioni composte da persone che provengono da altri paesi”.