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Noi 20enni in un mondo costruito da altri: guerra, virus, il sogno di un lavoro. Ma raccoglieremo i rottami, andremo avanti

Da sempre la nostra generazione è stata costretta ad ascoltare, senza sosta, le solite frasi del tipo “ahh ai miei tempi non c’era tutto questo benessere”, come se essere nati in questa condizione fosse una nostra colpa, una macchia che ci porteremo dentro per sempre.

E poi andando avanti con il tempo, si cresce, si studia, si inizia a lavorare e si inciampa nel mondo degli adulti, dove si scopre che tutto quello che ci è sempre stato detto è vero: il lavoro è poco, difficile da trovare (a meno che si abbia la fortuna di scovare un ambiente a cui interessi la tua crescita professionale) e, soprattutto, che il nostro Paese è rimasto fermo a 50 anni fa. Sì proprio in quei decenni che abbiamo studiato a scuola e all’università.

E nonostante tutto, noi della nuova generazione incorriamo quotidianamente sia sui social che nella vita vera in qualche eroe degli anni di piombo, che ci ammonisce senza ritegno “i giovani non hanno voglia di lavorare”, “sono svogliati”, “bevono come dei dannati”. Un po’ abbiamo iniziato anche a crederci. In tutto questo borbottio però sfugge una questione fondamentale, forse la più interessante. La più ovvia delle domande: “Perché?”.

Beh, se aspettate una risposta da noi, state perdendo il vostro tempo. Noi siamo nati 15, 20, 25 anni fa, in questo mondo abbiamo potuto fare ben poco. Diciamo, in verità, che ce lo siamo trovati tra le mani e basta: senza lavoro, senza punti di riferimento, senza futuro. Sì perché per noi è diventato difficile, purcon tutta la buona volontà, pianificare cosa faremo tra due anni, tra pandemia, dad e anni di università passati a casa davanti a un computer. Noi giovani viviamo un un mondo costruito da altri, tempo fa, e ora i medesimi artefici scaricano le responsabilità del suo malfunzionamento a noi, gli ultimi arrivati, che possiamo limitarci a raccogliere il presente che ci è stato consegnato.

Un presente in cui, dall’altro giorno, è tornata pure la guerra (non che quella se ne sia mai veramente andata), solo che ora ce l’abbiamo anche a un paio di migliaia di chilometri da casa, e quella non possiamo fare finta di non vederla. Ora il nostro futuro è compromesso ulteriormente, senza dimenticarci crisi energetica, rincaro bollette, e tutto il resto.

Noi, quando avremo la dentiera e imprecheremo contro i bambini che ci prendono a pallonate il cancello, probabilmente riusciremo ad assaporare quei “tempi” di cui ci hanno tanto raccontato, magari non alla stessa maniera, ma la storia è un ciclo eterno in continua ripetizione.

C’è però una sostanziale differenza con i nostri nonni, che, nella miseria, sognavano un futuro migliore e sapevano che, lavorando sodo, lo avrebbero ottenuto con un po’ di fortuna. A noi non è concesso niente di tutto questo.

Quello che possiamo, anzi dobbiamo, fare, è raccogliere i rottami che abbiamo ereditato e andare avanti; come stanno facendo in questi giorni, le migliaia di ragazze e ragazzi in molte città russe, protestando contro la guerra e contro un sistema vecchio che non gli appartiene. Perché non è possibile che gli scellerati interessi di pochi, siano poi, sempre, pagati a caro prezzo dai poveri e dagli indifesi.

Come diceva un vecchio scorbutico (guarda l’ironia della sorte) genovese, che troppe volte cito indebitamente: “Verremo ancora alle vostre porte / E grideremo ancora più forte / Per quanto voi vi crediate assolti / Siete per sempre coinvolti”.

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