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Nuova vita dopo la pandemia, la comasca Alessandra: “A 58 anni addio alla città. Rinasco in un rifugio”. E diventa ‘Capanat’

Lunghi anni trascorsi a lavorare nel mondo del tessile. Viaggi estenuanti in Germania, sempre per lavoro, vista la conoscenza delle lingue. E poi, scaduto l’ultimo contratto in essere, complice anche l’arrivo della pandemia che ha costretto molte persone a rivedere le proprie priorità, ecco la decisione di cambiare vita e salire in montagna.
A 58 anni infatti Alessandra, di Como, ha deciso di fare ciò che più le piaceva: lavorare in quota, in un rifugio e godere della magia della montagna. L’occasione si presenta sotto forma di un link dove si pubblicizza, nel Gruppo delle Grigne, la “Capanat Academy”, un percorso formativo che da anni si occupa della gestione dei rifugi Rosalba e Brioschi. L’iniziativa interessa subito ben 160 aspiranti “aiuto rifugista”. Tante sono infatti le domande e tra queste anche quella di Alessandra. Solo in sei ricevono la chiamata.

“Mi ha fatto un grande piacere – racconta – perché trovarmi, a 58 anni, ad affrontare questo nuovo percorso insieme a giovani dai 20 ai 30 anni è stato stupendo e motivo di orgoglio”. Se le si chiede il perché di questa scelta, oltre ovviamente alla passione per la montagna, la risposta è molto chiara. “I ritmi di lavoro erano diventati insostenibili. Lavoravo in Germania e facevo avanti e indietro. Alla fine, scaduto il contratto a inizio pandemia mi sono fermata a riflettere e ho preso questa decisione. Ormai i miei figli sono grandi e autosufficienti e io ho fatto il salto”. E così la full immersion nel corso. “Sono stati quattro weekend molto intensi durante i quali ci siamo mossi tra i due rifugi, passando dal Brioschi a 2410 metri al Rosalba a quota 1800. Abbiamo imparato molto. La giornata iniziava alle 6.30 e le attività erano molteplici”.

“Abbiamo imparato come vivere in un rifugio, a gestire la cucina, a dare informazioni a quanti chiamavano per incamminarsi verso il rifugio, a gestire i social sempre più importanti – spiega – abbiamo poi trascorso delle giornate con delle guide alpine che hanno spiegato come muoversi d’inverno, come leggere e interpretare i bollettini meteo. Abbiamo poi fatto anche un’esercitazione per cercare sotto la neve, simulando una slavina, un oggetto. Oltre poi, essendo in un rifugio, ad aver fatto esperienze su come gestire le risorse visto che ogni spostamento per far arrivare in quota tutto quanto serve è complesso e costoso”. Capanat, va detto, deriva dal dialetto lombardo e significa rifugista, ma è altrettanto importante anche la figura dell’aiuto rifugista, persona che veniva appunto formata con il corso. Il Capanat è infatti colui che “esercita le attività di accoglienza degli escursionisti/alpinisti, offrendo loro ospitalità mettendo a loro disposizione gli spazi per il pernottamento, e ristoro, sfruttando le potenzialità che il rifugio offre. Il rifugista rappresenta anche punto di riferimento informativo della zona di pertinenza e interviene in caso di incidenti”.

E la storia di Alessandra, oltre al coraggio di aver compiuto una scelta forte, si conclude con un altro elemento positivo. Quando l’abbiamo sentita il corso era già terminato. Dopo aver risposto al telefono e averci racconta la sua vicenda, ecco arrivare l’ulteriore sorpresa. “Sto tornando in quota nei rifugi perché dopo la conclusione del percorso sono stata richiamata. Mi hanno chiesto se ero disponibile a prendere servizio. Ovviamente non ci ho pensato una attimo e sono salita in auto, direzione montagna”.

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