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Pigra, Colonno, Galbiga: i Rifugi per il corpo e per l’anima nell’estate del boom. “Una scelta che cambia la vita”

Pace e cibo alla vecchia maniera. In un’estate in cui tutto il lago di Como ha visto un boom clamoroso di turisti da tutto il mondo, dopo gli anni della pandemia, sono stati riscoperti, finalmente, anche dei luoghi nascosti, quasi isolati dalla frenesia del mondo. Stiamo parlando dei rifugi, storiche strutture montane che da quest’anno, come ci raccontano gli stessi gestori e proprietari, hanno visto riempire le proprie tavole come non si vedeva da decenni.

Addirittura c’è stato chi, lasciandosi alle spalle la vita precedente, ha deciso di entrare in questo mondo: “Nel 2012 abbiamo comprato questi edifici distrutti e in sei anni li abbiamo ristrutturati completamente – raccontano i proprietari del rifugio di Pigra, a picco sul Lario, “Le casette” Daniele Ostinelli e sua moglie Laila Marmolejo – all’inizio volevamo costruire una baita per noi, però poi abbiamo cambiato idea. I risparmi di una vita li abbiamo investiti in questa avventura e abbiamo aperto il 3 agosto 2018”. Ovviamente quasi tutti i prodotti sono a chilometro zero: “Della nostra proprietà fanno parte anche 40 piante di frutti di bosco, numerose galline, capre e conigli. La nostra specialità è la rustisciada, un mix di costine e salsicce con un trito di verdure, per unire la cucina italiana con quella sudamericana (continente da cui proviene Laila, Ndr). Abbiamo fatto questa scelta per cambiare vita, essere meno stressati e vivere a contatto con la natura. Il rifugio ci sta dando grandi soddisfazioni. Quest’anno il boom di turisti ci ha dato una grossa mano”.

Se, da un lato, la pandemia ha danneggiato molti settori del turismo, dall’altro ha dato una mano a molte realtà di prossimità: “Il Covid è stato all’inizio un ostacolo, però con le riaperture gli afflussi sono ricominciati – racconta Orlando Pivetta, gestore del rifugio “Alpe di Colonno” da sette anni – molte persone hanno riscoperto le realtà più vicine, ma a causa della crisi economica se prima un cliente prendeva un menù completo, quest’anno si limita solo a pochi piatti. Brasato, tagliatelle al cinghiale e ai funghi, ossibuchi, pizzoccheri, polenta uncia: queste le specialità”.

Tra le strutture che hanno fatto la storia della cucina tipica c’è anche il rifugio “Venini”, sul monte Galbiga, di proprietà del Comune di Tremezzina, ma gestito da 14 anni da Simone Barbetta e suo figlio Stefano: “L’edificio fu costruito inizialmente dagli alpini per poi passare in mano pubblica. Ho sempre avuto il sogno di costruire qualcosa per gli avventurieri, così ho deciso di provare con il rifugio. All’inizio c’erano solo le mura e non in ottimo stato. Negli anni lo abbiamo ristrutturato. Da noi si possono trovare dagli affettati ai formaggi, arrivando ai pizzoccheri, alla polenta, fino a selvaggina di stagione, cassola, stinco di maiale e costine al forno. Quest’anno tanti italiani che non sono andati in montagna ma al mare, sono stati sostituiti dagli stranieri che sono tornati in massa sul nostro lago”. Certamente gestire un rifugio non è facile: “Sono sempre stato un selvatico, oltre che un cacciatore. Questa vita mi ha sempre attratto, è una cosa che ho sempre avuto dentro. Devi essere predisposto per fare questo lavoro, anche perché è un grosso sacrificio. Se manca qualcosa devi prendere l’automobile e viaggiare per chilometri per recuperare i prodotti o qualsiasi altro bene che manca”, conclude Simone.

Infine c’è chi prepara pranzi per cacciatori o amanti del trekking: “L’edificio è stato costruito nel 1933, ma è gestito dalla mia famiglia dagli anni ’50 – racconta Claudio Melesi, storico proprietario del rifugio “Boffalora” – nel 1971 venne ampliata la struttura e così vennero sistemate tutte le camere. Quasi in tutti i nostri piatti c’è la polenta, mischiata rigorosamente a mano, un piatto povero che è stato il cibo che ha sfamato i nostri genitori e nonni negli anni più difficili per il nostro paese. Facciamo ancora tutto come una volta, e i nostri piatti sono sempre gli stessi da sempre”.

Ed è tutto qua, storie di ristoranti di altri tempi che stanno “gustamente” tornando in voga.

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