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Malinconie d’amore a Sagnino: “Si sta bene ma stiamo perdendo tutto. Le promesse? Lettera morta”

Sette chilometri dividono il centro di Como, per la precisione Palazzo Cernezzi, da Sagnino. Ma la distanza, almeno ascoltando i residenti del quartiere, sembra molto più ampia, quasi incalcolabile.

Purtroppo in molti, tra quanti hanno raccontato in prima persona la propria esperienza a ComoZero e quanti si sono limitati a elencare i problemi, è ormai radicata la convinzione di essere abbandonati. Viabilità, verde, manutenzione, servizi mancanti rappresentano solo alcuni dei nodi critici di questa zona di Como che conta più di 6 mila residenti.

“Spiace dirlo ma le promesse, come sempre, sono rimaste lettera morta. Qui durante la scorsa campagna elettorale ne abbiamo sentite molte, ma poi è passato il tempo e nulla è cambiato. Si potrebbe iniziare con le strade che sono sempre molto rovinate e che richiederebbero maggior attenzione”, dice Antonio Serino.

Si passa poi a quanto non offre più il quartiere: “Si sta sempre più impoverendo. Non c’è più una banca, pochi negozi, l’edicola è chiusa”.

Come se non bastasse le segnalazioni riguardano anche la zona verde e i boschi circostanti il quartiere: “Più volte i cinghiali sono arrivati in strada. In diverse occasioni hanno anche ribaltato i sacchi della spazzatura condominiali – aggiunge Serino – è necessario maggior controllo e interventi mirati. E poi una risposta più rapida ai piccoli problemi che ci possono essere. Ad esempio, ho chiesto di poter tagliare una parte di una pianta che ostruiva la visuale, ma le procedure burocratiche e i tempi sono eccessivamente lunghi”.

Altro tema forte sotto i riflettori è quello legato alla viabilità al collasso. “Nelle ore di punta, ma non solo, lo svincolo autostradale di Monte Olimpino, con i mezzi in uscita e i frontalieri diretti in dogana a Ponte Chiasso, rendono caotica la situazione della viabilità ordinaria. E tutta l’area, a partire dalle strade che salgono e scendono da Sagnino sono intasate – racconta Angelo Amato – e purtroppo mi sembra che in questi ultimi 5 anni sia cambiato veramente molto poco e dispiace perché tutto sommato nel quartiere, pur con dei problemi, si vive bene”.

“Io sono il presidente del circolo anziani e ricordo quando diversi anni fa si lanciò addirittura l’idea di fare Sagnino come Comune a sé – prosegue Amato – Tanto tempo e tante cose sono mutate da allora e tanti sono anche i problemi emersi. Certo sarebbe opportuno magari anche poter contare su qualche servizio in più, ormai non più presente. Tirando le somme, anche se molti dei disservizi oggi esistenti hanno radici molto vecchie, non si può dire che l’amministrazione attuale sia stata soddisfacente, anche guardando al resto della città dove i problemi sono sempre lì, immobili da anni, vedi la Ticosa”.

L’ultima voce raccolta infine è quella di Giuseppe Brenna. “Mi sembra tristemente che Sagnino si stia sempre più trasformando in un quartiere dormitorio – spiega Brenna – e stiano ormai scomparendo le attività produttive di ogni tipo. Questo è un problema che sta emergendo ormai da molto tempo e che oggi è sempre più concreto. Per il resto, è certo che anche la situazione delle strade andrebbe osservata con maggior attenzione e cura”.

Lasciando Sagnino dunque l’impressione è che molti dei suoi residenti, pur impegnati per rendere il rione vivibile, siano delusi dalla situazione attuale e disillusi nei confronti del futuro.

“Stiamo perdendo la nostra identità”

Vittorio Mottola, anima del quartiere, insegnante, con un passato in politica, e, tra le mille attività, anche presidente del Comitato Monumento Ingegner Alessandro Rossi, analizza un altro problema molto delicato che esiste a Sagnino.

“Purtroppo questo rione sta perdendo la propria identità sociale. Certo la pandemia ha creato enormi problemi ma il tema è reale e radicato da ben prima dell’emergenza sanitaria”, esordisce Mottola.

“Tutto sta scomparendo. Le associazioni chiudono, le strutture sportive sono poche o non sono funzionali e le scuole hanno problemi. Così i genitori, quando vengono agli Open day e osservano lo stato delle strutture, preferiscono fare più strada e portare i figli altrove”.

Da qui l’esortazione: “Bisogna fare. Penso ad esempio al museo dedicato alla Rivarossi, solo per citare una realtà a me molto cara. Vanno creati luoghi e opportunità, perché i giovani qui ci sono, ma se intorno c’è il vuoto, se ne andranno e tutto si spegnerà”.

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